Ez 18,25-28; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32
È davvero di grande immediatezza e attualità la parabola che si legge nel Vangelo di questa domenica: due figli sono inviati dal padre a lavorare nella vigna di famiglia; il primo dice sì prontamente, ma non fa quanto promesso, a differenza del secondo che dice no, ma poi ci ripensa e fa la volontà del padre. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, direbbe l’antico proverbio. È la storia di sempre: uomini che parlano bene e razzolano male e persone che hanno vissuto lontano da Dio, ma che poi si convertono e fanno la sua volontà fino in fondo.
Gesù si rivolge “ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo”; a quei fedelissimi di Dio, che vivono una religione fatta di gesti, ma non di disponibilità a fare la sua volontà, specialmente ora che è giunto tra loro il Figlio a chiamarli: continuano le loro parole di fedeltà ma, allo stesso tempo, rifiutano di accogliere colui che Dio ha inviato loro.
A costoro Gesù contrappone “i pubblicani e le prostitute”, che nella loro vita hanno detto tante volte di no a Dio con il peccato, ma che ora, alla chiamata del Figlio di Dio, si fanno avanti, lo accolgono, lo accettano, seguono il suo insegnamento facendolo diventare vita concreta. Per questo motivo, afferma Gesù, riferendosi ai capi del popolo, “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”.
La religione che Gesù porta su questa terra è fatta non di belle parole, ma di una buona vita: parlare bene di Dio, pregarlo solennemente a che serve, se il cuore e la volontà sono lontane da Lui? La fede che diventa vita: solo questa salva.
L’insegnamento della parabola è completato dal brano di Ezechiele nella prima lettura: Dio non ha fretta di condannare o premiare gli uomini; il suo giudizio è sull’intero corso della vita di ogni uomo: per questo motivo egli giudica tenendo conto delle decisioni ultime. Il giusto che, dopo avere vissuto nel bene, si lascia portare al male dalle circostanze della vita e conclude la sua esistenza terrena nel peccato, non può trovare salvezza. A differenza del peccatore che ha il coraggio di guardarsi dentro e di cambiare vita, per giungere purificato al giudizio di Dio: questi troverà salvezza.
L’insegnamento di questi due brani biblici trova nuova luce nel brano della lettera di san Paolo ai Filippesi: Cristo ci ha salvato “facendosi obbediente fino alla morte”, in virtù della sua umiltà, per cui “non ritenne un previlegio l’essere come Dio”. I cristiani si salveranno facendosi umilmente obbedienti a Dio con una vita di fedeltà fino all’ultimo momento, convertendosi dal peccato per presentarsi purificati al Creatore; senza illudersi di essere salvati dal solo fatto di essere battezzati, senza però avere fatto la volontà di Dio in un cammino di conversione. Questo significa l’appello di Paolo nella lettera ai Filippesi: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. Un appello che deve guidare la vita del fedele di Cristo ogni giorno fino all’incontro con il Padre.