At 2,14.36-41; 1Pt 2,20-25; Gv 10,1-10
Il pastore buono è quello vero ed entra dalla porta. Immagine semplicissima per dire che rapporto corre tra il Figlio e il Padre e che il Vangelo di Giovanni descrive: il Figlio è mandato dal Padre, non dice e non fa nulla se non ciò che sente e vede dal Padre, è rivolto verso di lui, vive per lui, è amato da lui; non prende nulla da sé, ma riceve tutto dal Padre. Allora questa porta che immette nel recinto delle pecore è l’obbedienza del Figlio al Padre per portarne a termine la volontà fino alla croce.
Nei sinottici il pastore riporta all’ovile la pecora perduta; qui invece porta fuori le pecore dal recinto, quasi come se le liberasse. Il termine “recinto” nelle Scritture indica il cortile del Tempio di Gerusalemme. Sembra di capire che è finito il tempo di stare in quel “recinto” e inizia il grande viaggio dietro al Pastore, verso la Casa del Padre.
Le pecore ascoltano il pastore che le chiama una per una per condurle fuori nel grande ultimo esodo verso la terra promessa della Risurrezione e della gloria, nella pienezza della comunione con Dio. È un esodo diverso da quello antico, perché è il volto pasquale della storia inaugurata da Gesù e che si estende ad altre pecore che non sono di questo ovile.
La porta protegge e apre a luoghi belli: la stanza interna della preghiera al Padre, la stanza delle nozze, la casa di Pietro, la camera dove un padre dorme con i suoi figli; c’è anche la porta del sepolcro che viene spalancata dalla sua risurrezione. La porta è segno di una salvezza ricevuta in dono: solo Gesù può aprirla per far entrare e uscire e trovare pascolo.
I pastori, l’ovile, le pecore… immagini vicine a quella di popolo di Dio che il Concilio ha usato per disegnare la Chiesa. E gregge, se possibile, dice più che popolo, perché oltre al cammino indica anche la direzione e la guida. È la signoria di Gesù che si esercita tutta nell’amore. Un pastore tenero e appassionato, che ha i tratti più dello sposo che del guardiano del gregge, è anche l’immagine e il modello di tutti i pastori che, nel tempo, lo hanno rappresentato. “Anche Pietro è pastore” – scriveva sant’Agostino – ma non come Gesù, perché le pecore appartengono al Signore, non a Pietro. Questo significa che Pietro non sostituisce, ma rende presente il pastore nella Chiesa: quando si proclama la Parola, quando si celebrano i Sacramenti, quando si vive la carità: lì è sempre presente Cristo che opera.
Non dimenticherò mai questo piccolo racconto. Un giorno una pecorella trovò un buco nel recinto. Curiosa, vi passò, pensando di essere finalmente libera. Saltava felice per i campi, i prati, i boschi, senza più limiti o costrizioni… All’improvviso, però, si vide inseguita da un lupo. Corse e corse, senza fiato e col cuore in gola, quando, ormai spacciata, si sentì sollevata in braccio dal Pastore che con ansia l’aveva cercata e, commosso, l’aveva ritrovata, portata in salvo. E nonostante molti lo consigliassero di farlo, il pastore non volle riparare il buco nel recinto.