Is 50,4-7; Fil 2,6-11; Mt 26,14- 27,66
La domenica delle Palme presenta gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù su un duplice binario: quello della gloria e quello della sconfitta. La gloria nell’ingresso a Gerusalemme; la sconfitta nella crocifissione. Momenti antitetici: normalmente si dice “per crucem ad lucem”; in questo caso, però, sembra avverarsi il contrario: “Per lucem ad crucem”. La gloria terrena di Gesù acclamato dalle folle fa da premessa alla condanna e alla morte di croce. La luce del momento di gloria terrena diventa testimonianza della fragilità dei sentimenti umani, mentre la sconfitta terrena di Cristo in croce manifesta l’affidabilità definitiva dell’amore di Dio per l’umanità.
Due grandi folle si contrappongono: quella dell’Osanna nell’ingresso di Gerusalemme lo riconosce come “colui che viene nel nome del Signore”; e quella che assiste alla farsa del suo processo, che grida a Pilato “Crocifiggilo”. Quanto è fragile, insicura e mutevole la gloria terrena! Come non pensare che non poche tra le persone che hanno gridato “Osanna” il giorno dell’ingresso a Gerusalemme, abbiano poi gridato “Crucifige”. Fragile è l’amore dell’uomo per Dio, mentre “duro come pietra” – secondo l’espressione di Isaia – è l’amore di Dio all’umanità peccatrice; Cristo “non resta confuso” di fronte al tradimento umano, ma conserva integro il suo amore, per il quale si fece “obbediente fino alla morte e a una morte di croce”.
La duplice celebrazione della Domenica delle Palme può essere considerata come la presentazione tematica di tutto il messaggio della Settimana Santa, fino alla Pasqua. Gesù dona il suo corpo e il suo sangue nell’ultima cena “per il perdono dei peccati”. E nella stessa cena, si consuma il tradimento di Giuda. Gesù non si nega a chi lo arresta; gli apostoli invece fuggono. Nel Getsemani Gesù, pur pregando: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!”, aggiunge: “Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”. Gli apostoli invece hanno paura della volontà del Padre. Gesù, al sommo sacerdote che gli chiede se lui sia Figlio di Dio, risponde: “Tu l’hai detto”; Pietro, al contrario, interrogato da una serva, nega la verità: “Non conosco quell’uomo”.
In difesa di Gesù interviene solo la moglie di Pilato; e a condanna di Pietro, c’è solo un gallo che canta. E di fronte alla morte del Signore, ecco l’atto di fede del centurione romano e di chi con lui fa la guardia a Gesù, che “furono presi da grande timore e dicevano: ‘Davvero costui era Figlio di Dio!’”.
Nel sacrificio di Cristo in croce è l’intera vicenda dell’umanità che viene riassunta: eterno è l’amore di Dio in Gesù per l’umanità; fragile e traditore è l’amore dell’uomo, dei discepoli, per il Signore creatore e redentore. Non sempre i “vicini” di Cristo comprendono il suo amore e gli sono fedeli; accade invece che a volte i “lontani” sappiano conoscere meglio la sua verità. Ma, nonostante tutto questo, l’amore di Dio resta in eterno: solo il suo amore salva!