Lv 19,1-2.17-18; 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48
Tre messaggi per un unico imperativo: “Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo” (Levitico); “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo); “Santo è il tempio di Dio, che siete voi”: le tre letture della Messa di questa domenica, con parole diverse manifestano la vera sostanza della vocazione cristiana, l’imperativo insostituibile per tutti i discepoli di Cristo.
Il discorso della Montagna, che si legge da quattro domeniche, è l’indicazione del cammino da percorrere per raggiungere questa meta, per realizzare questa vocazione. Per giungere alla meta, Gesù non intende abolire la legge antica, ma darle pieno compimento. La legge di Mosè resta, indiscussa, ma arricchita dal compimento portato dalla predicazione del Signore. Il compimento che Gesù porta all’insegnamento di Mosè consiste nell’allargare l’orizzonte dell’amore: Mosè insegnava il modo di vivere i rapporti interni alla comunità di Israele, mentre Gesù pensa a un amore universale, che raggiunge tutti gli uomini, buoni o cattivi che siano. La differenza sta proprio in questo: nel mondo ebraico il “fratello”, “il tuo prossimo” è colui che appartiene ai “figli del tuo popolo”; solo verso di loro era inteso il comando “non coverai odio nel tuo cuore” come pure il “non ti vendicherai e non serberai rancore”.
Per Gesù, il prossimo è ogni uomo, anche il malvagio, comprende quindi anche “i vostri nemici… quelli che vi perseguitano”. L’“occhio per occhio, dente per dente” dell’antica legge, nella legge nuova di Gesù è superato dal “se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli l’altra guancia”; l’antico detto “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico” è trasformato in “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”. Il motivo di questo allargamento dell’orizzonte dell’amore è in quell’“affinché”: lo scopo sta nella vocazione a essere “figli del Padre vostro”; come l’amore del Padre raggiunge tutti gli uomini su cui sorge il sole, tale deve essere l’amore dei cristiani: con lo stesso orizzonte infinito. Il cristiano non può accontentarsi di amare con la stessa misura dei pubblicani o dei pagani, perché la misura del suo amore è la stessa che connota l’amore del Padre celeste.
Questa è la sapienza di Dio, ben diversa dalla sapienza di questo mondo, come nota san Paolo nel brano della lettera ai Corinzi; una sapienza che il mondo considera stoltezza. Ma il cristiano si fa stolto scegliendo la strada indicata da Cristo, nella certezza che solo così diventerà sapiente davanti a Dio. Un messaggio, quello della Messa di questa domenica, di fronte al quale noi cristiani dobbiamo continuamente interrogarci e convertirci, perché questo è lo scopo ultimo della vocazione cristiana: essere perfetti “come” è perfetto il Padre celeste. La perfezione consiste nell’amore.