Is 66,18-21; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30
Diciamolo subito. Gesù è la fontana garantita della salvezza per ciascuno e per tutta l’umanità. E cosa sia scampare, salvarsi in guerra è sotto gli occhi di tutti. Ci si salva riconoscendolo, toccandolo, accogliendolo come seme fecondo, come lievito che fermenta tutta la pasta, passandoci dentro perché è Lui la porta stretta! La strettoia della salvezza non è data dalla fatica necessaria ad attraversarla, ma dall’unicità del Salvatore. Uno solo per tutti.
Quanti si salvano e la scampano? Chi può farcela? Salvarsi non è uno scherzo; non è per molti. Da qui la domanda semplice di quel tale: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. L’errore dell’interlocutore anonimo non è sulla quantità dei salvati, ma sulla causa della loro salvezza: non “si salvano”, ma “vengono salvati”. La salvezza è un dono che si riceve, non un’impresa per i pochi che hanno forza e capacità. La salvezza dipende dal Salvatore!
La risposta di Gesù è nell’invito a cercarlo perché è lui l’unico stretto passaggio verso la salvezza. Lui è la porta. Non è lui a non riconoscere chi è stato alla sua mensa, ma sono essi a non riconoscerlo come salvezza ultima e pienezza del dono, lui che è il Figlio di Dio. In questo senso non sono i pagani e neppure i peccatori a correre il maggior rischio, ma proprio gli eletti, i commensali della prima ora, siano essi ebrei del tempo o cristiani di oggi. Non è questione di meriti, di chi è stato più o meno bravo. È una questione di fede e di una inconcepibile proposta d’amore fatta gratis da Dio e rifiutata stupidamente dall’uomo.
Gesù è il Signore! Gesù è “Dio che salva”. Siamo salvati da Lui e questo salvezza porta con sé una vita nuova sulla stessa strada che è di croce e di gloria. Il vangelo inizia dicendo che Gesù passava insegnando e facendo strada verso Gerusalemme. Non è una direzione geografica, quanto soprattutto una rotta spirituale, il cammino verso la Pasqua.