II domenica di Pasqua

At 5,12-16; Ap 1,9-11.12-13.17-19; Gv 20,19-31

La pace viene dopo. Prima viene la presenza del Risorto, il suo stare in mezzo a noi. È lui la nostra pace. La paura degli apostoli, barricati nel cenacolo, nasceva proprio dall’assenza di Gesù; era questa la loro solitudine e il loro smarrimento. Già i profeti avevano intravisto il Messia come “principe della pace”. Anche lui lo dice: “Vi lascio la pace, la mia pace”. Persino nell’angoscia, dinanzi alla città di Gerusalemme, con le lacrime agli occhi, la rimprovera: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace!”.

La gioia di un incontro: “Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: ‘Pace a voi!’. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore”. I discepoli si lasciano convincere e aprono gli occhi pieni di paura e di pianto. L’incontro prosegue coinvolgendo nella missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Si guarisce dalla paura aprendo il cuore e gli occhi degli altri.

Pasqua è un giorno lungo fino a Pentecoste, dura finché c’è ancora timore, fame, violenza, paura della morte. Ci vuole lo Spirito Santo, la forza di Dio, che non solo è speranza di resurrezione, ma già esperienza. L’augurio della pace è ripetuto dal Risorto e accomuna la nostra missione alla sua per la stessa modalità, attraverso i segni della Passione. La missione dei discepoli ha a che fare con la presenza del Crocifisso, Signore della Pace! I discepoli per essere testimoni autentici del risorto devono mostrare loro stessi come persone risorte.