
Nei giorni dell’8 e del 9 febbraio avrà luogo il Giubileo delle Forze Armate, di Polizia e di Sicurezza. Nella “Spes non confundit”, la Bolla di Indizione del Giubileo, Papa Francesco scrive: “Il Giubileo ricordi che quanti si fanno ‘operatori di pace saranno chiamati figli di Dio’ (Mt 5,9). L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti”. Un chiaro riferimento ai tanti, uomini e donne, che all’interno delle Forze Armate, di Polizia e di Sicurezza svolgono la loro missione sulle strade e nei teatri di guerra in operazioni di pace.

(Foto Ministero Difesa)
Per l’occasione il Sir ha intervistato l’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Santo Marcianò, reduce da una recente visita in Libano dove nella chiesa della base “Millevoi” di Shama, nel Sud del paese, ha incontrato i “caschi blu” del Contingente italiano impegnato nella missione Unifil (la forza delle Nazioni Unite schierata al confine con lo Stato di Israele), per dare il via al rito di apertura dell’anno giubilare. Significativo è stato il breve pellegrinaggio con l’ingresso processionale dietro la croce all’interno della chiesa della base intitolata a “Maria Decor Carmeli e San Giovanni XXIII Papa”, uno dei nove edifici di culto indicati dall’Ordinario militare quali “luoghi giubilari” nei teatri operativi all’estero.
Eccellenza, in che modo la Chiesa Ordinariato cercherà – in questo Anno Giubilare – di dare concretezza alle parole del Pontefice?
La Chiesa dell’Ordinariato Militare ha una profonda consapevolezza della propria vocazione a vivere un impegno di evangelizzazione centrato sul tema della pace. La Dottrina Sociale della Chiesa insegna che la pace non si riduce ad “assenza di guerra” ma “rappresenta la pienezza di vita”; e che, addirittura, ricorda il Compendio, “prima ancora di essere un dono di Dio all’uomo e un progetto umano conforme al piano divino”, essa è “un attributo essenziale di Dio”. La pace è dunque pienezza di umanità e di divinità. In questo incrocio, ecco l’opera evangelizzatrice della nostra Chiesa, che si rivolge a coloro che, in modo concreto, sono impegnati sul versante della costruzione della pace, ovvero i militari e le loro famiglie. È un punto importante per i militari italiani, i quali rappresentano una Nazione che ripudia la guerra: per tale motivo, l’accompagnamento spirituale da parte della nostra Chiesa, dei cappellani militari in particolare, li deve aiutare a maturare una coscienza sempre più profonda di tale vocazione di operatori di pace, attraverso la catechesi, la formazione i sacramenti, la preghiera, la carità. Nella Bolla di Indizione del Giubileo la “pace” è il primo dei “segni di speranza” che il Papa addita al mondo.

(foto Ministero della Difesa)
In questo Giubileo, pertanto, mi sembra essenziale, per la nostra Chiesa, rendere maggiormente consapevoli i nostri militari del fatto che il loro ministero di pace, in realtà, è e deve diventare sempre più un ministero di speranza per il mondo, soprattutto per i deboli del mondo.
Papa Francesco ha scelto per questo Anno Santo il titolo di “Pellegrini di Speranza”. Quale significato assume la parola ‘speranza’ nell’ambito della missione della Chiesa castrense?
Nel 2014, a circa un anno dalla mia nomina a Ordinario Militare, scrivendo una Lettera per l’anniversario della prima Guerra Mondiale, mi resi conto che il mondo militare, soprattutto in Italia, aveva la possibilità e le potenzialità di trasformare in speranza alcuni luoghi e alcuni termini; quasi di riscrivere un “vocabolario della speranza”.
Speranza è assicurare la difesa dei più deboli, garantire la sicurezza delle città e delle comunità sociali, il rispetto della legalità, la lotta per la giustizia e la trasparenza, anche in senso economico.
È speranza la presenza dei militari in regioni più disagiate o terre abbandonate, specie in luoghi ove il cosiddetto potere mafioso crea situazioni di sudditanza e ricatto, avvelena l’ambiente, blocca lo sviluppo del turismo o dell’economia locale. È speranza vedere i nostri militari arrivare per primi e andare via per ultimi in situazioni di emergenza o gravi calamità naturali, che affliggono la nostra Nazione o anche altri Paesi in difficoltà.
È speranza la mano di un militare che salva i profughi dal mare o ne aiuta l’accoglienza.
Ed è speranza la presenza dei militari italiani nelle Missioni Internazionali di supporto alla Pace.
C’è poi la dimensione del “Pellegrinaggio” che, leggiamo nel suo Messaggio per il Giubileo, “caratterizza la vita e la missione degli uomini e delle donne delle Forze Armate e di Polizia”. Come essere ‘pellegrini di speranza’ nei teatri operativi, nelle missioni all’estero e nelle attività quotidiane nelle caserme e nelle strade per i militari?
Sì, il Pellegrinaggio è essenziale per i fedeli della nostra Chiesa; anche, direi, per i presbiteri, assieme ai loro militari. Non è facile, a volte, vivere i continui spostamenti, la lontananza da casa, specie in periodi di festa o di difficoltà familiari… per questo, mi sembra bello poter valorizzare la dimensione del Pellegrinaggio, che incide sull’atteggiamento interiore con cui affrontare queste situazioni difficili. Il Pellegrinaggio, infatti, rimane fatica, cambiamento, disponibilità a lasciare… ma è cammino che ha una meta e, al contempo, un percorso comunitario.
Questo avviene, in particolare, nelle Missioni Internazionali di supporto alla Pace, dove spesso si diventa pellegrini con i popoli del luogo, i quali vivono situazioni di precarietà, paura, rischio, e si entra in relazione profonda con loro.
Si tratta di una presenza che può contribuire a non farli sentire dimenticati e che spesso garantisce i minimi aiuti umanitari, venendo incontro a bisogni di cibo, medicine, ma anche di istruzione e formazione.

Foto Calvarese/SIR
In che modo la Chiesa castrense si è preparata a questo Giubileo delle Forze Armate e di Polizia e di Sicurezza? Ci sarà qualche momento, gesto o segno particolare – nella celebrazione con il Papa – che possa significare l’importanza del Giubileo per la Chiesa castrense?
In Italia stiamo attendendo con grande trepidazione questo momento. I nostri militari arriveranno a Roma da tutte le regioni e avranno modo di accogliere, a loro volta, militari di diversi Paesi e culture. Penso che questo sarà già un segno eloquente. Vorrei però anche sottolineare l’importanza del rapporto tra le diverse Chiese Castrensi che, nella mia esperienza, si rafforza anche attraverso le relazioni tra i Vescovi Ordinari Militari, relazioni costruite grazie a diverse occasioni di incontro, formazione e preghiera comune. Uno di questi importanti incontri verrà organizzato dal Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee a Roma nei giorni che precedono il Giubileo delle Forze armate e di Polizia e vedrà la presenza di tutti gli Ordinari Militari d’Europa. Vivere questo scambio di esperienze, condividere i problemi, imparare a confrontarsi su nuove linee di pastorale e sulle possibilità di incidere nel mondo delle Istituzioni, è una ricchezza straordinaria che costruisce comunione e che arricchirà della gioia della comunione anche il prossimo evento Giubilare.
Avete pensato anche a particolari iniziative nelle Chiese locali dell’Omi, a qualche Opera Segno giubilare che ricordi questo Anno Santo?
Più che “opere segno” vorrei parlare di “luoghi segno”: quei luoghi che ho indicato come “giubilari”: le Chiese principali dell’Ordinariato, il carcere militare, le Chiese dei teatri operativi internazionali, alcune navi. Questi luoghi, da una parte, esprimono la varietà e la ricchezza dell’impegno pastorale della nostra Chiesa; dall’altra, confermano come sia possibile fare di ciascuno di tali luoghi un “segno di speranza” di cui parla il Papa nella Bolla. Ma tutto quanto abbiamo detto, vorrei aggiungere a conclusione, non sarebbe possibile senza il ministero peculiare e prezioso dei cappellani militari, portato avanti nella quotidianità silenziosa di vicinanza e condivisione della vita dei militari. Un vero e proprio “ministero di speranza” che, mi auguro, il Giubileo possa contribuire a far conoscere e apprezzare, da parte di tutta la Chiesa italiana.