Giubileo 2025: un’esperienza che ci chiama a riconciliarci con la vita

Questo abbraccio è destinato a diventare scelta anche politica a strenua difesa del vivente, soprattutto nella sua fragilità di embrione e di malato terminale. La nostra fedeltà alla vita sarà la cifra che ci consentirà di cogliere il dono del Giubileo nella sua radicale autenticità

Foto Calvarese/SIR

Il viandante-pellegrino che giungeva dinanzi al tempio di Delfi, dopo un viaggio più o meno lungo e accidentato, si trovava davanti alla scritta “Conosci te stesso!” che campeggiava sull’architrave del luogo sacro. L’analogia con la porta giubilare può essere facilmente percepita se si interpreta il detto pagano, come del resto fanno autorevoli esegeti, nel senso del “preciso significato che la scritta ‘conosci te stesso’ comunicava a chi entrava nel tempio per avere rapporto con Apollo e con il suo oracolo, gli studiosi hanno raggiunto un sostanziale accordo di fondo: Apollo invitava l’uomo a riconoscere la propria limitatezza e finitezza e, quindi, esortava a mettersi in rapporto col dio, appunto sulla base di questa precisa consapevolezza. Dunque, a chi entrava nel tempio di Delfi veniva detto quanto segue: ‘Uomo, ricordati che sei un mortale e che, come tale, tu ti avvicini al dio immortale'” (Giovanni Reale). E se tale monito interpellava i pagani, a maggior ragione dovrebbe valere allorché non l’uomo si accosta al Dio vivente, ma Questi si manifesta a lui nella storia. La prima porta che si schiude è quella del proprio cuore e della propria mente, che consente l’ingresso nella nostra interiorità più profonda, la quale in tal modo si accinge a varcare la porta che conduce al santuario, ovvero al cospetto del divino.

Dopo aver compiuto l’ingresso nel tempio ed esserci riconciliati con Dio, noi stessi e gli altri, la prospettiva si rovescia e l’invito è ad uscire dal tempio, dal sé, dall’introspezione per abbracciare la vita, dopo averne percepito il senso. E di nuovo si è chiamati ad attraversare la porta che ci conduce fuori come fedeli di una “Chiesa in uscita”: “Camminare in semplicità con il tuo Dio: qui non si richiede nulla più della completa presenza della fiducia. Ma fiducia è una parola grande. È il seme da cui crescono fede, speranza e amore ed il frutto che da essi matura. È la cosa più semplice di tutte e proprio per questo la più difficile. Ad ogni istante essa osa dire ‘è vero!’ alla verità. Camminare in semplicità con il tuo Dio. Le parole stanno scritte sulla porta, sulla porta che dal misterioso-miracoloso splendore del santuario di Dio, dove nessun uomo può restare a vivere, conduce verso l’esterno. Ma su che cosa si aprono allora i battenti di questa porta? Non lo sai? Sulla vita” (Franz Rosenzweig). L’esperienza del Giubileo ci chiama a riconciliarci con la vita, nonostante il contesto nel quale viviamo sia intriso da una cultura di morte. E questo abbraccio è destinato a diventare scelta anche politica a strenua difesa del vivente, soprattutto nella sua fragilità di embrione e di malato terminale.

La nostra fedeltà alla vita sarà la cifra che ci consentirà di cogliere il dono del Giubileo nella sua radicale autenticità.

Nelle litanie lauretane che la pietà popolare dedica alla Vergine Madre, ripetendole come un mantra, perché le invocazioni possano penetrare nel cuore e nella mente di quanti le esprimono, rinveniamo un riferimento, che potremmo chiamare “giubilare”, alla “porta”, allorché denominiamo Maria “ianua coeli” (“porta del cielo”). Il nesso con la “porta santa” viene spontaneo, ma forse dovremmo cercare di pensare la formula nel suo significato più profondo, in modo da ripeterla con maggiore consapevolezza. Nel Nuovo Testamento Gesù indica sé stesso come la “porta” che il pastore attraversa e chiama le pecore per nome. (Gv 10, 1-10). Così il pastore “spinge fuori le pecore”, invitandole ad attraversare la soglia dell’ovile per aprirsi a quel grande prato che è il mondo. Maria schiude la porta del cielo perché il Verbo esca e raggiunga la nostra terra per annunziare e realizzare la nostra redenzione. Grazie alla Vergine Madre il cielo non resta chiuso e blindato nella sua assoluta beatitudine, ma decide di aprirsi per incontrare le creature nel loro quotidiano affannarsi e nella loro continua ricerca di pace, di perdono, di armonia, di giustizia, di autentica libertà. Ed ecco la “ianua coeli”, con un incredibile paradosso, quale solo le verità di fede possono sopportare, diviene “Madre di Dio”, sconvolgendo ogni logica umana, perché si faccia strada nelle nostre menti e nei nostri cuori la logica di Dio.

* docente di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Lateranense. 

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