“Costruire uno stato iracheno basato sulla cittadinanza, secondo fondamenti moderni che garantiscano l’uguaglianza per tutti i cittadini, limitare l’uso delle armi, combattere la corruzione e rifiutare sia il settarismo che lo spirito di vendetta, come affermato dal Grande Ayatollah Sayyid Ali al-Sistani poche settimane fa. Ed ancora il rispetto delle identità etniche e religiose da considerare come ricchezza per le nostre società. Uniamo le forze e lavoriamo insieme per il bene del nostro paese”. È quanto chiede il patriarca della Chiesa caldea, card. Louis Raphael Sako, nel suo messaggio per il prossimo Natale. Mar Sako non nasconde la preoccupazione della Chiesa caldea non nasconde la sua preoccupazione e i suoi timori riguardo a ciò che sta accadendo a Gaza, in Libano, in Siria e in tutta la regione e ribadisce solidarietà e preghiera per la pace e la sicurezza in tutto il mondo. E lancia un appello a tutti i leader del mondo affinché “mostrino responsabilità e coraggio nel trovare soluzioni pacifiche durature per porre fine ai conflitti nella regione. Soluzioni che siano all’altezza delle aspirazioni dei Paesi dell’area di avere sicurezza, stabilità e riforme che ripristinino diritti, dignità e sovranità”. L’Oriente, ricorda il patriarca, “storicamente noto come culla di profeti, terra di civiltà e glorie, ha bisogno – in queste difficili circostanze – di razionalità, saggezza, discernimento e sforzi congiunti per raggiungere la riconciliazione nazionale e andare verso un futuro migliore, piuttosto che essere trascinato in altri conflitti e divisioni”. In particolare, il card. Sako rivendica la presenza cristiana irachena come “una componente fondamentale del tessuto iracheno, profondamente radicata nella storia dell’Iraq. I cristiani – si legge nel Messaggio – sono tra i fondatori dell’Iraq e la loro lealtà è sempre stata verso il loro paese”. Tuttavia, ricorda il patriarca, “negli ultimi due decenni i cristiani hanno sofferto molto per i conflitti, l’aumento dei discorsi di odio (promossi da Al-Qaeda e ISIS), l’emarginazione e il sequestro delle loro risorse e proprietà, fatti che hanno spinto due terzi di loro a emigrare, nonostante fossero l’élite del Paese. Il nostro desiderio – conclude – è di rimanere sulla nostra terra, comunicare e mantenere buoni rapporti con tutti. Aspettiamo con ansia di vedere rispettati i nostri diritti e di avere la possibilità di svolgere un ruolo nella costruzione del nuovo Iraq. Speriamo che il governo ci renda giustizia con i fatti e non con le parole. Non ci sottometteremo mai a nessuna fazione armata”.