Nuovi cardinali: mons. Spengler, “il Papa vuole una Chiesa più vicina alla gente, più semplice, più povera”

“Ogni vescovo è responsabile non solo per la propria chiesa locale, dove esercita il suo ministero, ma di tutta la Chiesa”. Così mons. Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre, in Brasile, commenta la sua nomina a cardinale, che diventerà effettiva nel Concistoro presieduto dal Papa questo pomeriggio. “La strada che Francesco ha cercato di sviluppare per la Chiesa è una strada di non ritorno”, spiega ai giornalisti, durante l’incontro con le prossime porpore organizzato in sala stampa vaticana: “Dobbiamo avanzare verso una chiesa più vicina alla gente, più semplice, più povera”. “Oggi rivivo la sorpresa del primo giorno”, confessa mons. Jean-Paul Vesco, arcivescovo di Algeri, secondo il quale la sua nomina “è un’occasione, per una piccola chiesa come l’Algeria, di rinnovarci, sapendo di non essere una chiesa abbandonata ma che può contare sul sostegno della Chiesa universale. Siamo una chiesa ‘cittadina’, cioè che vive la vita del paese, non per chiedere diritti politici ma per poter compiere il nostro dovere di cittadini”. Poi c’è l’impegno per il dialogo interreligioso, che Vesco concepisce come “dialogo tra persone di religioni differenti, ma non tra le religioni: le religioni non dialogano”. Per lui, il più bello esempio di dialogo interreligioso è la Dichiarazione sulla fraternità umana, in cui il Papa e il Grande Imam di Al-Azhar “sono due uomini che dialogo teologicamente, due religioni diverse che guardano nella stessa direzione e lanciano un messaggio al mondo. Fare cose insieme, guardare nella stessa direzione: questo è il dialogo interreligioso. Il fatto di considerarci fratelli e sorelle è il segno più importante che i cristiani possono portare all’umanità intera. Testimoniare che siamo tutti figli dello stesso padre è il più alto livello di testimonianza evangelica”. L’Algeria, nelle parole di mons. Vesco, è “un paese di transito, per chi viene dall’Africa subsahariana, di migrazione e di emigrazione. Dobbiamo prendere coscienza che i migranti con cui lavoriamo hanno lo stesso nostro volto. Un giorno mi è capitato di pensare: ‘Potrei essere al suo posto’, e questo ha cambiato totalmente la mia visuale. Ogni cristiano dovrebbe avere un amico migrante, per capire come vive e cosa vive”. Per mons. Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado, “è importantissimo ascoltare la voce anche delle chiese più piccole, che hanno una vita molte volte importante ma non caratteristica per le grandi diocesi che possono organizzare un lavoro strutturale in modo autonomo. In Serbia i cattolici sono una piccolissima chiesa, 300mila in una nazione a maggioranza ortodossa e dove i musulmani sono il 5% della popolazione. Noi non abbiamo grandi strutture. Viviamo in diaspora, come una doppia minoranza: etnica e religiosa. Etnica, perché i serbi sono ortodossi per nascita, noi siamo cattolici perché apparteniamo non ai serbi ma ai diversi gruppi etnici che vivono in Serbia”.

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