Durante la visita pastorale “mi piacerebbe non essere solo in questo andare ad incontrare persone e gruppi: vorrei riuscire a coinvolgere alcuni fedeli per tentare assieme di incontrare persone che non sono abituali frequentatori della parrocchia, ma che sono disponibili ad un dialogo e ad un confronto. Vorrei in questo modo tracciare la strada per un atteggiamento nuovo più missionario, meno chiuso e autoreferenziale. Abbiamo infatti bisogno di diventare una Chiesa ‘in uscita’”. Lo ha affermato questo pomeriggio mons. Pierantonio Pavanello, vescovo di Adria-Rovigo, nell’omelia pronunciata per la solennità di san Bellino, patrono della diocesi.
Riferendosi alla duplice figura di san Bellino come pastore e martire, il presule ha osservato che “tutta la vita di un prete, di un vescovo, di un Papa è un donare la propria vita, è vivere un ‘martirio’ anche se non ci è chiesto di morire vittime della violenza e dell’odio”. “È un martirio – ha rilevato – che oggi viviamo in particolare nell’accettare la sfida di un cambiamento d’epoca che ci chiede in tempi estremamente rapidi di rinnovare in profondità il nostro modo di essere Chiesa e di esercitare il ministero dentro una tensione logorante tra la nostalgia per le tradizioni del passato e la ricerca di attuare le vie nuove che lo Spirito ci chiede di percorrere”.
Il vescovo ha poi parlato della visita pastorale che inizierà ad Adria domenica prossima, con l’inizio dell’Avvento: “Come programma della visita – ha spiegato – ho scelto un versetto dell’Apocalisse ‘Ecco, sto alla porta e busso’ (Ap 3,21). Sono parole che esprimono il mio desiderio andare incontro non solo a chi è partecipe di un cammino di fede ed è impegnato nella comunità cristiana, ma anche a chi sta ‘sulla soglia’, cioè è alla ricerca di risposte alle domande di senso che avverte”. “Allo stesso tempo”, ha proseguito, l’espressione “richiama lo stile con cui vorrei presentarmi: uno stile discreto, umile, che non si impone ma che si mette alla pari con tutti. Bussare alla porta infatti vuol dire chiedere all’altro di accoglierti, è un presentarsi quasi in punta di piedi, affidandosi alla libertà dell’altro”. “Il sogno che coltivo è di far sì che la visita pastorale diventi il laboratorio di un modo nuovo di essere Chiesa”, ha sottolineato mons. Pavanello riferendosi al progetto “Casa della diocesi” con il quale lavorano “equipe in cui persone del territorio e membri degli Uffici/Servizi diocesani pensano e attuano insieme esperienze di incontro con persone e gruppi che stanno ‘sulla soglia’”.
In precedenza, il vescovo ha incontrato i sindaci del territorio ai quali oltre alla riconoscenza, all’apprezzamento e alla disponibilità alla collaborazione ha comunicato che “l’orientamento della diocesi” circa la realtà delle parrocchie “è quello di sciogliere questo connubio tra identità sociale e identità ecclesiale, conservando per quanto possibile la prossimità alle persone e alle famiglie ma in forme necessariamente nuove”. Altri temi toccati sono stati la presenza delle Scuole d’infanzia paritarie, la necessità che nel territorio “maturi una visione più larga e un’apertura a cercare più sinergie vincendo la paura che il vicino mi fagociti” e l’idea di sviluppo del Polesine.