Payback dispositivi medici: Roma, oggi un tavolo di confronto promosso dalla Fais per le ricadute negative sulla qualità di vita dei pazienti

(Foto Fais)

Il 68,4% delle aziende operanti in Italia nel settore dei dispositivi medici ritiene che l’applicazione del payback potrebbe avere un forte impatto sulla qualità di vita dei pazienti. È solo uno dei dati emersi durante l’evento “Il payback: cosa è e che impatto potrà avere sulla vita dei cittadini” promosso dalla Fais, la Federazione Associazioni incontinenti e stomizzati, e svoltosi a Roma, presso l’Associazione Stampa estera. Un’iniziativa che per la prima volta parte dal basso, dai cittadini, già pazienti, che in Italia utilizzano un presidio medico e che rischiano di subire un peggioramento delle loro condizioni di salute se non verranno garantiti loro prodotti e servizi fondamentali per condurre una vita dignitosa.
La sentenza numero 140/2024 ha respinto le questioni sulla legittimità costituzionale che il Tar del Lazio aveva sollevato sulla normativa che riguarda il payback nel settore dei dispositivi medici, il meccanismo che si applica quando le Regioni sforano il tetto di spesa preventivato annualmente e chiama in causa le imprese fornitrici di dispositivi medici alle quali viene richiesto di partecipare al ripiano, nella misura del 50% dello scostamento.
Una sentenza che, se da una parte rende ancora più fragili i pazienti, dall’altra preoccupa le aziende. In un’indagine condotta lo scorso anno da Fais e Faip (Federazione Associazioni italiane paraplegici), su 38 aziende operanti nel settore dei dispositivi medici in Italia, per valutare l’impatto del payback qualora fosse applicato secondo le disposizioni di legge vigenti, emerge che “il 68,4% di esse ritiene che l’applicazione del payback potrebbe avere un forte impatto sulla qualità di vita dei pazienti; il 65,8% che potrebbe avere ricadute sugli investimenti in innovazione e R&D (ricerca e sviluppo, ndr) nel settore dei dispositivi medici in Italia e il 71% che potrebbe condizionare le scelte delle aziende sulla riduzione delle forniture di Dm al Sistema sanitario nazionale e per il 52,6% ai pazienti”.
Numeri allarmanti, come ha dichiarato Pier Raffaele Spena, presidente della Fais: “Siamo molto preoccupati sugli effetti che il payback potrà avere sulla vita delle persone che in Italia utilizzano un presidio medico. Lo dico come rappresentante di un’associazione di pazienti, ma al tempo stesso come paziente. È necessario che le associazioni di pazienti e i movimenti civici siano coinvolti nei processi propositivi e decisionali, e non rimangano semplici spettatori inermi. Per questo la Fais si è sempre resa disponibile. La nostra principale preoccupazione è che, nella disputa tra le istituzioni, i cittadini più vulnerabili siano coloro che subiranno le conseguenze più gravi”.
A denunciare la serie di ricadute che questa sentenza porterà all’interno delle aziende che operano in questo campo è stato il mondo imprenditoriale, come ha spiegato durante l’evento Nicola Barni, presidente di Confindustria dispositivi medici: “Il payback pone tutta la filiera della salute davanti a una crisi irreversibile: le imprese non saranno in grado di garantire le forniture con un’inevitabile ripercussione sulla capacità del Ssn di assicurare la tutela della salute dei pazienti. È importante che associazioni di pazienti come Fais abbiano compreso e condiviso questo grave vulnus che è urgente iniziare a risolvere già in manovra in modo da dare un segnale chiaro ed evitare effetti disastrosi non solo sulle imprese, ma soprattutto sui pazienti che si troveranno senza tecnologie innovative disponibili e davanti a pesanti ostacoli nell’accesso alle cure e alla prevenzione”.
Un tema sentito e al centro del dibattito politico, vista anche la recente lettera indirizzata al presidente del Consiglio a firma delle imprese di dispositivi medici, delle associazioni di pazienti e della comunità medico-scientifica dove si chiede di bloccare il meccanismo del payback, poiché gli effetti sulla filiera della salute, all’interno degli ospedali e sull’intero servizio sanitario pubblico sarebbero disastrosi.

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