“Prima di tutto io rimango convinto che la Santa Sede, pur non avendo esercito né molti mezzi a sua disposizione e avendo soltanto la fede e la parola, può e deve fare qualcosa”. Risponde così il nunzio apostolico di Kyiv, mons. Visvaldas Kulbokas, alla domanda – in un’intervista al Sir – sulla missione diplomatica in Ucraina lanciata da Papa Francesco ed un bilancio a mille giorni dall’invasione russa su vasta scala che ricorrono oggi. “Non sappiamo quando si potrà raggiungere qualche risultato”, aggiunge il nunzio. “Anche questa missione dell’inviato speciale del Santo Padre è in corso e si prefigge – fin dal suo avvio – finalità umanitarie come il rimpatrio dei bambini, la liberazione dei prigionieri. Anche se modeste, queste finalità sono molto importanti perché aprono o mantengono canali di dialogo. Anche se finora i risultati sono poco visibili, senz’altro si deve continuare. Anzi, direi di più: occorre rafforzare questa missione dell’inviato speciale accompagnandolo. Innanzitutto con la preghiera e con il pensiero, e non lasciarlo solo”. A questo proposito il nunzio ha parlato dell’importanza di “creare think tank cristiani con gente preparata in grado di elaborare concetti, idee e progetti”. Il nunzio si sofferma a parlare dei prigionieri: “La situazione dei prigionieri è pesante perché implica torture, mancanza di comunicazione, di igiene, mancanza di tantissime cose. Anche tutto questo costituisce un crimine contro l’umanità. E su tutta questa situazione pesa anche la constatazione che non si sa come liberarli, neanche i prigionieri civili. Temo che per molti di loro, e sono migliaia e migliaia, anche se la guerra dovesse fermarsi, è difficile sperare che vengano liberati perché non ci sono né i mezzi internazionali né le sufficienti possibilità di dialogo bilaterale per venire in aiuto a queste persone”.