Mille giorni di guerra. Suor Olexia (Kharkiv), il “volto” degli anziani e dei bambini. “La nostra speranza è una pace giusta”

La testimonianza di suor Olexia Pohranychna, religiosa della Congregazione delle suore greco-cattoliche di San Giuseppe. Racconta come si riesce a vivere 1.000 giorni di guerra in una città che si trova al confine orientale dell’Ucraina, a pochi chilometri dalla Russia, praticamente sul “fronte” caldo del conflitto. “La mia speranza – dice – è che questa guerra finisca il più presto possibile ma finisca con una pace giusta, non come dice Putin. Noi come popolo ucraino non abbiamo fatto niente contro la Russia. Sono loro ad essere entrati per distruggere e bombardare tutto. Tutti vogliamo la pace. Tutti vogliamo tornare a vivere sereni, andare a dormire tranquilli. La speranza è che la pace arrivi presto".  

Karkhiv, suor Olexia, Congregazione di San Giuseppe (foto sr. Olexia)

“Kharkiv era una città bellissima, piena di giovani. Quando sono arrivata lì a maggio erano passati circa due mesi dall’inizio della invasione russa su vasta scala e ho trovato una città distrutta dalle bombe. Non c’era nessuno per strada. E’ stato uno choc. Forse è stato quello il momento più brutto”. Inizia con questa immagine, il racconto di suor Olexia Pohranychna, religiosa della Congregazione delle suore greco-cattoliche di San Giuseppe. A lei, abbiamo chiesto una testimonianza per capire come si riesce a vivere 1.000 giorni di guerra in una città che si trova al confine orientale dell’Ucraina, a pochi chilometri dalla Russia, praticamente sul “fronte” caldo del conflitto.

Kharkiv, distribuzione in parrocchia di pasti caldi (foto suor Olexia)

“Un volto doloroso dell’Ucraina in guerra sono gli anziani che scappano dai loro villaggi lasciando per sempre dietro di sé la loro storia, la loro vita, tutto”. Le loro case sono ridotte a cumuli di macerie. Una frase li accomuna tutti: “Non abbiamo più neanche un posto dove morire”. E con gli anziani sfollati, c’è il volto dei bambini. La guerra ha colpito soprattutto loro, rubandogli per sempre il presente. A causa dei continui bombardamenti, ad Kharkiv le scuole sono rimaste chiuse. Le lezioni purtroppo si fanno ancora e solo online ma “dietro gli schermi di pc e telefonini, non sappiamo cosa facciano i bambini”. Alcuni escono dalla stanza, altri si alzano, altri ancora possono rimanere al letto a dormire. E tutto senza che l’insegnante possa sapere cosa stia realmente accadendo. I giorni passano e le lezioni vanno avanti così. Oltre al fatto di studiare “male”, l’impossibilità di andare a scuola ha tolto a questi ragazzi anche l’unica possibilità che avevano per socializzare con i loro coetanei. Non ci sono luoghi sicuri a Kharkiv. Anche i parchi giochi, anche i campi sportivi possono diventare pericolosi per i bimbi, addirittura letali. Alcuni di loro sono morti mentre giocavano fuori con gli amici. La Chiesa si è resa subito conto di questa situazione ed ha subito capito che doveva fare qualcosa per loro. Ogni mercoledì e ogni domenica la parrocchia greco-cattolica di Kharkiv apre le sue porte ai bambini. L’iniziativa piace. Sono numerosi i bambini che arrivano in chiesa e gli ambienti della parrocchia si animano di giochi, balli, canti, disegni. “I bambini corrono, urlano, danno sfogo a tutta la loro voglia di stare insieme, giocare, essere ascoltati, trovare qualcuno che dica loro quanto sono bravi”, racconta Olexia. “Ricordo di un bambino che disegnava, utilizzando però solo i colori nero e marrone. La guerra aveva spento in lui ogni luce. Con il tempo, abbiamo cominciato a notare un cambiamento e  l’utilizzo di colori sempre più chiari, anche se la guerra continua a mettere paura”. La religiosa spiega: “Ogni notte andiamo a dormire nella speranza che nessuna bomba telecomandata o missili colpisca la casa. E anche se non succede, sappiamo che dietro quell’allarme che ci ha svegliato nel cuore della notte ogni notte, c’è qualcuno che è morto”.

Kharkiv, il “volto” della guerra ha il volto dei bambini (foto suor Olexia)

Ma questi 1000 giorni di guerra hanno generato anche ricordi inaspettati di gioia e gratitudine. “Eravamo andate in un villaggio a portare aiuti. Ricordo una signora che ci è venuta incontro e si è inchinata per dirci grazie. Sono rimasta colpita. Non stavamo facendo nulla di straordinario ma quella gente ci stava aspettando. Ci dicono, non portateci niente, ma venite a trovarci”. Suor Olexia parla molto bene italiano. A lei si sono rivolti giornalisti ma anche e volontari che dall’Italia sono arrivati anche qui, in aiuto della popolazione. Il pensiero di Olexia va in particolare al gruppo “Frontiera di Pace” di Como, grazie al quale questa estate la suora ha potuto portare in vacanza in Italia un gruppo di bambini.

“La mia speranza – conclude – è che questa guerra finisca il più presto possibile ma finisca con una pace giusta, non come dice Putin. Noi come popolo ucraino non abbiamo fatto niente contro la Russia. Sono loro ad essere entrati per distruggere e bombardare tutto. Tutti vogliamo la pace. Tutti vogliamo tornare a vivere sereni, andare a dormire tranquilli. La speranza è che la pace arrivi presto e ritornino quei bei giorni che Dio ci ha donato. Nessuno poteva mai pensare che nel 21° secolo una guerra sarebbe scoppiata nel cuore dell’Europa”.

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