Le attese e le ansie del dopo elezioni Usa

L’affermazione di Trump alle elezioni presidenziali USA, per quanto clamorosa, non è giunta inaspettata. Il vento del populismo che, da qualche tempo, sta interessando gran parte dei Paesi occidentali, non ha lasciato indenni gli Stati Uniti. Pressoché in tutti i Paesi ove si sono tenute recentemente le elezioni si è registrata, infatti, una forte avanzata dei partiti sovranisti: Italia, Francia, Austria, Germania, tanto per rimanere in Europa.

L’affermazione di Trump alle elezioni presidenziali USA, per quanto clamorosa, non è giunta inaspettata. Il vento del populismo che, da qualche tempo, sta interessando gran parte dei Paesi occidentali, non ha lasciato indenni gli Stati Uniti. Pressoché in tutti i Paesi ove si sono tenute recentemente le elezioni si è registrata, infatti, una forte avanzata dei partiti sovranisti: Italia, Francia, Austria, Germania, tanto per rimanere in Europa. I cittadini manifestano il loro malcontento disertando in massa le urne, ma anche premiando quelle formazioni “populiste” che promettono soluzioni facili per problemi difficili. Il programma di Trump sembra costruito su misura per rispondere alle richieste dei tanti americani che l’hanno votato: l’annuncio dell’arrivo de «l’età dell’oro», per restituire all’America la sua grandezza; l’avvio della più grande “deportazione di massa” di clandestini, “per riappropriarci della nostra sovranità” e la fine di queste “inutili guerre all’estero”. Nelle politiche interne, ma ancor più in quelle estere, ogni scelta sembra orientata al primario interesse, “America first” (Prima l’America). A parte l’inqualificabile idea della “deportazione di massa” e di altre preoccupanti intenzioni, fra cui la cancellazione di alcuni diritti civili, non vi è dubbio che si tratta di un programma popolare. Anche se non mancano le preoccupazioni per gli effetti che il nuovo corso potrà produrre sia nel sistema democratico degli U.S.A., che nell’ambito dei rapporti con il “resto del mondo”. Considerato il ruolo da sempre giocato dagli Stati Uniti nel contesto internazionale – dall’Europa, alla Russia, dall’Asia al Medio Oriente – il ritorno di Trump potrebbe, infatti, aprire nuovi scenari. Il condizionale è d’obbligo, considerata la nota imprevedibilità di Trump che rende azzardata la formulazione di ogni previsione. Porre in cima a ogni decisione gli interessi del Paese – “America first” – potrebbe comportare, allora, una riduzione dello storico campo d’influenza degli Stati Uniti nello scacchiere mondiale, a iniziare dal coinvolgimento degli USA in quelle che Trump definisce “inutili guerre all’estero”. In quest’ottica, potrebbe verificarsi, a iniziare dall’Ucraina, una riduzione degli interventi USA: “ognuno finanzi la propria difesa”, ha lasciato intendere il Presidente eletto. Da qui il prevedibile invito a Zelensky a “una visione realistica per la pace”, rassegnandosi a perdere parte dei territori illegalmente conquistati da Putin (Crimea e Donbass?) e a rinunciare, per ora e per tanti altri anni ancora, a entrare nella Nato. L’organizzazione internazionale (Patto Atlantico) potrebbe subire, a 75 anni dalla sua fondazione, un ridimensionamento del suo ruolo, con tutte le conseguenze per gli Stati aderenti, Italia compresa. Sostanzialmente immutato, invece, potrebbe rimanere il peso degli USA in Medio Oriente: qui si continuerebbe a sostenere il disegno di Israele di occupare l’intera Palestina e archiviare definitivamente la soluzione dei due Stati. Sul fronte economico, il disegno isolazionista e protezionista di Trump, per nulla incline alle alleanze, potrebbe indurlo a introdurre nuovi dazi. Non solo sulle importazioni dalla Cina, ma anche su quelle dagli Stati europei che si vedrebbero, così, costretti a scelte cruciali per non correre il rischio di dividersi e indebolirsi. Agli accordi comunitari, infatti, Trump preferisce quelli bilaterali. “L’Europa deve imparare a crescere da sola” ha detto Draghi, presentando il suo “Rapporto sulla competitività “ed evitare il “ciascuno per sé” dinanzi agli Stati Uniti o alla Cina. Il ritorno di Trump alla “Casa Bianca”, come si vede, potrebbe non essere privo di effetti “traumatici”, non solo per gli Stati Uniti, ma anche per il mondo intero. L’auspicio è che da qui al suo insediamento – 20 gennaio 2025- Trump possa avvertire le attese e le ansie di un mondo che oggi chiede e spera in un cambiamento della storia verso orizzonti di pace, di progresso e di giustizia sociale. “All’inizio del suo mandato – ha detto Il Cardinale Parolin- gli auguriamo tanta saggezza perché possa ben governare il suo Paese ed essere davvero un elemento di distensione e di pacificazione negli attuali conflitti che stanno sanguinando il mondo”.

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