La duplice profezia del “rosso”

Nel solco della tradizione ecclesiale, che da sempre intreccia segni visibili e realtà invisibili secondo il principio sacramentale, la creazione a cardinale di don Mimmo Battaglia offre lo spunto per una riflessione sulla semiologia sacra che caratterizza la Chiesa di Napoli.

Foto Calvarese/SIR

Nel solco della tradizione ecclesiale, che da sempre intreccia segni visibili e realtà invisibili secondo il principio sacramentale, la creazione a cardinale di don Mimmo Battaglia offre lo spunto per una riflessione sulla semiologia sacra che caratterizza la Chiesa di Napoli. Il cromatismo della veste cardinalizia – che nella sua etimologia rimanda al greco “porpora”, la preziosa tintura dei fenici – si innesta in una città dove un altro rosso, quello del sangue taumaturgico di San Gennaro, costituisce da secoli non mero folklore ma autentica cifra ermeneutica della pietà popolare.
La teologia dei segni, cara alla tradizione cattolica e e magistralmente sviluppata nella costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, trova in questa coincidenza cromatica un terreno fertile di riflessione ecclesiologica. La porpora, che nella romanità classica rappresentava la potestà imperiale, viene trasfigurata dalla Chiesa in segno della “potestas” che si fa “ministerium” (cfr. Christus Dominus), fino all’effusione del sangue. Non è casuale che l’imposizione della berretta cardinalizia sia accompagnata dalla formula «usque ad sanguinis effusionem», eco di quella dimensione martirologica che nel sangue di San Gennaro trova non solo memoria storica ma attualizzazione perenne.
Questo duplice richiamo al sangue – quello evocato dalla porpora e quello custodito nelle ampolle ianuariane – interpella la Chiesa napoletana su due fronti concreti: l’attenzione alle nuove forme di martirio sociale e l’urgenza di una pastorale incarnata. Pensiamo a quei territori dove il “sangue” dei giovani continua ad essere versato sull’altare della violenza “banale” o della criminalità organizzata. O alle nuove povertà che emergono in altri contesti, dove dietro i fasti della gentrificazione si nascondono sacche di emarginazione che attendono una risposta ecclesiale non meramente assistenziale ma generativa di nuove opportunità.
La liquefazione del sangue di San Gennaro – fenomeno che continua a sfidare le categorie interpretative tanto dei credenti quanto degli scettici – può suggerire alla nostra Chiesa quella “fluidità pastorale” necessaria per penetrare gli interstizi di una società sempre più liquida, per usare la celebre definizione di Bauman. Come il sangue, per mantenere la sua funzione vitale, deve scorrere nelle vene senza coagularsi, così la presenza ecclesiale è chiamata a circolare nei gangli vitali della città, scongiurando il rischio della sclerosi istituzionale.
Non è forse emblematico che proprio nelle catacombe di San Gennaro – luogo dove il sangue del martire fu primo seme di Chiesa – sia oggi in atto uno dei più fecondi esperimenti di koinonia sociale della città? Giovani che ritrovano dignità attraverso la custodia della memoria, realizzando quella “archeologia del futuro” attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico?
Il sangue nelle Scritture è sede della vita (Lv 17,11) e segno dell’alleanza (Es 24,8). La porpora cardinalizia e il sangue del martire Gennaro possono quindi essere interpretati come un binomio che richiama la Chiesa alla sua vocazione originaria: essere sacramento di vita per la città degli uomini. Una vitalità che si declina nel quotidiano servizio delle parrocchie, nell’impegno educativo degli oratori, nella capillare presenza delle Caritas e nel silenzioso lavoro negli ospedali e nelle carceri, luoghi dove la Chiesa è chiamata a “trasfondere” quella speranza teologale che sola può rigenerare il tessuto sociale.
La vera sfida per la Chiesa napoletana sarà quella di mantenere viva questa circolazione vitale, impedendo che i simboli – tanto la porpora quanto il sangue – si cristallizzino in meri elementi decorativi. Il vero miracolo, infatti, non risiede tanto nel prodigio della liquefazione, quanto nella capacità della comunità ecclesiale di “liquefare” le proprie strutture per raggiungere le periferie esistenziali che attendono una parola di speranza.
In questo senso, porpora e sangue diventano non solo segni identitari ma veri e propri paradigmi operativi, capaci di orientare una prassi ecclesiale che, fedele alla sua tradizione bimillenaria, sappia incarnarsi nelle sfide della contemporaneità con quella sapienza pastorale che è sempre stata caratteristica distintiva della Chiesa di Napoli.

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