“La situazione resta grave. Gli sfollati e i bisogni salgono di numero man mano che cresce la distruzione di case e palazzi”: sintetizza così mons. Hanna Rahmé, vescovo cattolico maronita di Baalbek-Deir El-Ahmar nell’est del Libano, la guerra in corso tra Hezbollah e Israele che in queste ultime settimane si combatte nella zona, non lontano dalle aree archeologiche ricche di templi e di resti di epoca romana, dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Nella notte raid aerei israeliani su circa 20 obiettivi nella regione, e in altre aree a nord del fiume Litani, hanno ucciso circa 60 “agenti di Hezbollah”. L’esercito di Israele considera questa regione una roccaforte del Partito di Dio.
L’area della diocesi è molto vasta e occupa circa il 27% della superficie del Paese con una popolazione di circa 450.000 abitanti, per la maggioranza musulmani sciiti. Diversi raid hanno colpito la regione dopo che l’esercito israeliano ha diramato diversi avvisi di evacuazione per la zona. I giornali libanesi parlano di decine di morti. Dal canto suo Hezbollah continua a lanciare razzi contro il nord d’Israele, molti dei quali intercettati e abbattuti dalle difese aeree israeliane.
Prima del 1975. “Prima della guerra del 1975 – ricorda l’arcivescovo – Baalbek, era per lo più a maggioranza cristiana e sunnita. Durante quel conflitto molti cristiani lasciarono Baalbek e rimasero solo i sunniti. Ben presto anche questi ultimi andarono via a causa delle violenze settarie degli sciiti. Oggi Baalbek è in gran parte sciita. Per questo motivo Israele bombarda la nostra regione dove si trovano – è importante ricordarlo – diversi villaggi misti sunniti e cristiani. Hezbollah ha posto i propri depositi di armi nelle vicinanze di questi villaggi diventati così obiettivi dei raid aerei. Sono state colpite anche chiese e altri luoghi di culto. Tra queste la nostra scuola cattolica a Baalbek restaurata dalla Cei. Lecito chiedersi perché hanno sistemato molti depositi di armi vicino ai quartieri cristiani”.
Non possiamo abbandonare le persone. “Così la popolazione soffre e muore per le armi – spiega al Sir l’arcivescovo -. So di una famiglia di quattro persone, tutte sfollate che, dopo aver dormito nei pressi dell’episcopio, era tornata presso la propria casa per cercare di portare via quello che le era rimasto ed è stata uccisa da un raid aereo. Le Nazioni Unite hanno come valori fondanti il rispetto dei diritti umani, ma chiedo:
“dov’è l’Onu in Palestina e in Libano?”.
Domanda destinata a restare senza risposta, almeno per il momento. “Questo è il tempo di aiutare gli sfollati e le famiglie che hanno perso tutto” dice mons. Rahmé che snocciola alcuni numeri di questa emergenza. “In questa zona, e più precisamente nella regione di Deir El-Ahmar abbiamo dei centri organizzati per l’accoglienza. Nei villaggi misti i cristiani, così come i musulmani, sono stati sfollati dalle loro abitazioni. Ci sono case di famiglie cristiane distrutte dai raid aerei perché adiacenti a quelle appartenenti a Hezbollah, dove erano stati collocati depositi di armi. Ben 2500 persone hanno trovato rifugio in sei scuole, ma la maggior parte degli sfollati, circa 9mila, è stata accolta in villaggi cristiani. In particolare, le chiese, i conventi, e tante case private dei nostri fedeli hanno aperto le loro porte a tutti coloro che avevano bisogno indipendentemente dalla fede religiosa. Molti musulmani sono stati colpiti da questa solidarietà cristiana. Non possiamo abbandonare le persone. Molte ancora non sanno dove andare”.
Giovani al fronte… della solidarietà. I primi a scendere in campo per portare aiuto sono stati i giovani: “centinaia di persone, tra scout, volontari della Caritas, persone di buona volontà dei vari movimenti e organismi ecclesiali – sottolinea l’arcivescovo maronita – sono venute per aiutare gli sfollati e le persone in difficoltà. Abbiamo consegnato centinaia di scatole di viveri e di generi di conforto alle famiglie cristiane che hanno ospitato in casa 3 o 4 famiglie musulmane. In questo modo abbiamo aiutato tutti. I giovani della Caritas hanno attivato anche una cucina per offrire dei pasti anche alle persone che hanno trovato accoglienza nelle strutture e rifugi organizzati dallo Stato”. “Tra i libanesi – aggiunge mons. Rahmé – esistono grandi differenze in merito alla politica – molti cristiani vogliono che si arrivi alla fine della guerra con il dialogo e non con le armi, come vorrebbero per esempio, molti sostenitori di Hezbollah – ma davanti all’emergenza provocata dalle bombe israeliane il Paese si dimostra unito e solidale”.
“Per noi cristiani si tratta di dare concretezza all’insegnamento di Gesù, ‘ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato; nudo e mi avete vestito’. I cristiani stanno mettendo in pratica queste parole con grande fede. La risposta alla povertà sta tutta in un formidabile spirito cristiano”.
Politica e diplomazia assenti. Ma se c’è la risposta del popolo a mancare è quella della politica interna e internazionale. “Hezbollah ci ha condotto in una guerra nonostante la crisi in cui versa il Paese – lamenta mons. Rahmé – quando, invece, serviva eleggere un nuovo Presidente della Repubblica e trovare delle persone serie e preparate pronte a governare. Il Libano è circondato da armi. Usa, Unione Europea, Nazioni Unite e, nello specifico, la Francia, non mostrano forza e capacità per tentare di trovare un accordo tra le parti in lotta a beneficio della popolazione. E io credo – denuncia l’arcivescovo – che uno dei motivi vada ricercato nella corruzione diffusa tra molti dei nostri politici che hanno depredato le ricchezze della gente facendo cadere il nostro Paese in una grave crisi sociale, economica, politica e finanziaria.
Non si fanno accordi e negoziati con le persone che non si mostrano coerenti e che non hanno a cuore la sorte del Libano.
La salvezza del Libano – conclude – sarà raggiunta disarmando tutti i partiti, anche i campi profughi palestinesi, favorendo il ritorno dei rifugiati siriani nel loro paese, ristabilendo lo stato di diritto, mandando in pensione l’intera classe politica presente e dando spazio a persone fedeli al Paese capaci di ridare vita alla nostra patria”.