Elezioni Usa: i programmi di Trump e Harris

L’anno elettorale per eccellenza, che ha visto metà della popolazione mondiale al voto, con risultati che quasi mai hanno premiato il governo in carica, avrà oggi il suo culmine nelle elezioni Usa

(Foto ANSA/SIR)

(da New York) L’anno elettorale per eccellenza, che ha registrato la metà della popolazione mondiale al voto e che, dati alla mano, quasi mai hanno premiato il governo in carica, avrà oggi il suo culmine nelle elezioni americane. Il 5 novembre segnerà una svolta non solo per il popolo statunitense e, inevitabilmente, anche per tutto il mondo. Per questo da settimane siamo invasi da news e approfondimenti sulle elezioni Usa.
La vittoria di Donald Trump, candidato repubblicano, o di Kamala Harris, candidata democratica, farà la differenza sul territorio statunitense, ma non c’è dubbio che l’elezione del nuovo inquilino della Casa Bianca avrà serie ricadute anche sul resto del pianeta. Se le urne dovessero premiare Trump, il Paese si ritroverà con un ex presidente, al suo secondo mandato, non consecutivo, eventualità questa che si presenterebbe per la prima volta in 132 anni di storia. Da sottolineare poi che con la vittoria di Trump, gli Stati Uniti si ritroveranno un commander in chief e primo ex presidente degli Stati Uniti a esser stato multato e condannato penalmente, per due volte sottoposto ad “impeachment“, colpevole di aver fomentato l’attacco al Campidoglio, considerato il tempio della democrazia statunitense.

Comunque, al di là di frasi eclatanti, sfociate a volte nel cattivo gusto se non addirittura nella vera e propria maleducazione, per quanto riguarda il futuro degli Stati Uniti, Harris e Trump hanno presentato i loro programmi basati su punti di vista differenti e neanche a dirlo contrastanti.

L’economia è stato uno dei temi chiave della campagna di Trump che ha puntato sull’applicazione di nuove politiche economiche basate su tagli fiscali promettendo anche l’espansione della produzione energetica. Riguardo l’aborto, ha riaffermato il controllo dello Stato sull’interruzione di gravidanza, lasciando a ogni Stato membro la libertà di decidere. Anche l‘immigrazione è stato uno dei temi centrali della movimentata campagna elettorale del Tycoon. Durante i suoi comizi, a parte alcune affermazioni chok o quantomeno discutibili, Trump ha annunciato una maggiore rigidità sulle politiche migratorie e ha riaffermato l’importanza di rafforzare la sicurezza. Infine, l’ex presidente, ha dichiarato che nel suo programma è previsto anche un mega consolidamento dell’industria statunitense e per quanto riguarda l’ambiente ha annunciato una riduzione della regolamentazione ambientale.

La Harris dal canto suo si è concentrata su un’economia inclusiva incentrata sul ribasso dei prezzi degli alimentari, sul taglio delle tasse per i ceti medi e sulla tassazione per i miliardari; ha annunciato la costruzione di 3 milioni di alloggi per rispondere alla carenza di abitazioni e la riduzione dei costi delle spese mediche che dovrebbe aumentare il potere di acquisto della middle class cui ha aggiunto una maggiore attenzione alle famiglie e alle persone vulnerabili. Anche lei prevede dazi ragionevoli sulle importazioni cinesi e non intende indietreggiare sul protezionismo tech. Riguardo poi la Green economy ha confermato che proseguirà nella politica degli incentivi statali per l’energia pulita e le auto elettriche. Sul fronte immigrazione la Harris ha ribadito la necessità di mantenere equilibrio sulla sicurezza dei confini; ha annunciato l’inaugurazione di un percorso ordinato verso la cittadinanza per gli immigrati che lavorano promettendo maggiori finanziamenti per più agenti di frontiera, giudici dell’immigrazione e funzionari che si occupano di asilo. Ultimo ma non ultimo nel programma della Harris, il tema della protezione e del rafforzamento dei diritti civili a cominciare dall’aborto e dalla difesa della libertà di scelta della donna.

Due programmi che non nascondono un duro confronto tra i due schieramenti.

Ora, se a vincere fosse la Harris, oltre che il paventato avvento di estenuanti mesi di battaglie legali per provare la legittimità e la correttezza del voto come annunciato più volte da esponenti del partito repubblicano, gli Stati Uniti si troverebbero (per la prima volta) ad essere guidati dal primo presidente donna e di colore della loro storia. Un’eventualità che se dovesse avverarsi, sarebbe dovuta soprattutto al peso dell’elettorato femminile, mai sollecitato come in questa campagna elettorale e mai sentitosi così impegnato nel far sentire la propria voce.

Da sottolineare poi che Trump, nel suo cammino verso un eventuale ritorno alla Casa Bianca, si è appoggiato a grandi finanziatori, dall’imprenditore naturalizzato statunitense  Elon Musk alle imprese della Silcon Valley; dalle generose donazioni delle banche a quelle provenienti dalle cripto-valute dei gemelli Winklevoss. La Harris, invece, non essendo una candidata forte, peraltro subentrata in corsa al presidente Joe Biden, ha accompagnato la sua candidatura mobilitando star della musica e dello spettacolo tutte convinte che la vicepresidente possa essere l’unico baluardo alla deriva antidemocratica dello sfidante.

Ma la vera sorpresa di queste elezioni è che le schede a favore della Harris saranno state votate dai repubblicani illustri che si sono rifiutati di piegarsi all’ala Maga del partito.

In politica estera, indipendentemente dal candidato che vincerà, gli Stati Uniti cercheranno di mantenere il loro primato. Trump insisterà sull’isolazionismo e la Harris su un multilateralismo a guida americana. Entrambi comunque dovranno fare i conti con potenze emergenti, Cina e India in primis, che non intendono più restare nelle retrovie e che di conseguenza sfideranno l’agenda del 47° presidente degli Stati Uniti.

Altri articoli in Mondo

Mondo