Essendo parroco, mi capita spesso di presiedere funerali. Molte volte i parenti della persona defunta desiderano che qualcuno prenda la parola per ricordarla. Lo concedo volentieri – purché non siano troppi – e ascolto anch’io perché sono convinto che nella vita di ogni persona ci sia una pagina o almeno una riga o una sillaba di Vangelo da cogliere. Ultimamente succede sempre più spesso che soprattutto le persone giovani al microfono ci tengano a precisare che non sono credenti e allora ascolto ancor più attentamente: cosa dicono questi ragazzi di fronte alla morte?
Qualcuno spera – senza troppa convinzione, mi sembra – che “dopo” ci sia “qualcosa”: anche Umberto Eco – solo per nominare il primo che mi viene in mente –, pur non essendo credente, sperava che la morte non fosse la fine di tutto. E Luciano De Crescenzo – per dirne un altro – con simpatia si definiva “non credente, ma sperante”. Più che questa esile speranza, però, quel che mi sembra accomunare tutti, nel momento dell’ultimo saluto, è il ricordo dei bei momenti vissuti insieme. Quasi immancabilmente queste rievocazioni si concludono con una formula del tipo: “Vivrai per sempre nel nostro ricordo”, dove quel “per sempre” significa in realtà “fino a quando vivranno quelli che ti hanno conosciuto e amato”. Con rispetto e senza alcuna ironia, mi viene in mente il bel film di animazione “Coco”, ambientato in Messico nel “Día de Muertos”: in quel film, che riprende una tradizione popolare, i morti sopravvivono nell’aldilà fino a quando i vivi li ricordano, ma quando nessuno li ricorda più, svaniscono definitivamente.
Io ascolto con attenzione e rispetto, come ho detto, confrontando dentro di me questi pensieri con la speranza cristiana, cercando somiglianze e differenze.
Anche noi credenti sentiamo il dolore del distacco e ripensiamo con nostalgia a tutti i bei momenti vissuti insieme alle persone che abbiamo amato. Però non crediamo che vivranno solo nel nostro ricordo, anche perché i ricordi sono come fotografie che sbiadiscono in fretta: immagini care, certo, ma la vita è un’altra cosa.
C’è, comunque, nei Vangeli almeno un versetto che collega vita, morte e memoria: è quello in cui il cosiddetto buon ladrone dice: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42). Non sta chiedendo a qualcuno di ricordarlo finché vivrà, dato che stanno morendo insieme: sta chiedendo al Signore della vita di non lasciarlo cadere nel nulla. Se la morte è la fine di tutto e la nostra esistenza si prolunga solo nella lacunosa memoria di qualcuno che a sua volta scomparirà presto, allora davvero “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” e “l’uomo è una passione inutile”. Se invece la nostra vita è raccolta e custodita dalla memoria di Dio, allora noi vivremo e vivremo in pienezza: non solo sopravvivrà il nostro spirito, ma riceveremo un corpo glorioso a immagine di Cristo risorto.
Nel linguaggio comune la speranza è il desiderio di un bene incerto o addirittura improbabile, come per esempio vincere alla lotteria. Invece
la speranza cristiana è l’attesa sicura della realizzazione delle promesse di Dio che ci darà una vita più piena ed eterna oltre la morte.
Attendiamo la nostra risurrezione e quella dei nostri cari perché “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1Cor 15,20). Non è risorto per restar solo tutta l’eternità, ma per essere “il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti” (Col 1,18).
Di fronte alla morte il cristiano sa di non essere solo e di poter sperare per tutti, per tutti attendere “la redenzione del nostro corpo” (Rom 8,23): ancora sguardi, abbracci, carezze, risate e forse lacrime, non più di dolore ma di tenerezza e compassione. Per questo onoriamo il corpo defunto come un seme, molto diverso dall’albero che sarà, ma pieno della promessa di una nuova vita.
Ai giovani che durante il funerale ricordano al microfono i bei momenti passati insieme alla nonna e promettono di non dimenticarla, vorrei dire:
“Vi accorgete che state desiderando la vita eterna? Provate a chiederla”.