Diciotto cristiani sono in carcere in Sudan dalle Forze armate sudanesi (Saf) nell’ambito del conflitto che dura da oltre un anno contro le Rapid support forces (RSF), la situazione per i cristiani in Sudan diventa sempre più precaria. L’11 ottobre 2024, le Saf hanno arrestato 26 cristiani mentre fuggivano dall’area di Al-Ezba/Bahri nello Stato di Khartoum, verso l’area di Shendi nello Stato del fiume Nilo, in cerca di rifugio dai combattimenti in corso. Dopo l’arresto, 8 sono stati rilasciati e 18 sono rimasti in carcere. Ne dà notizia oggi Porte aperte onlus. I cristiani, tutti appartenenti alla Sudanese Church of Christ (SCoC), sono stati arrestati e interrogati dalla Divisione di intelligence nazionale e accusati di collaborare con le Rapid Support Forces dall’inizio di questa guerra. Sono ora detenuti in uno sconosciuto centro di detenzione dell’esercito. Nonostante i numerosi tentativi da parte di leader di Chiesa di fare appello al governo per la loro liberazione, non vi è stata alcuna risposta da parte dei funzionari. Sebbene tutti i cittadini siano coinvolti nelle violenze, i cristiani devono affrontare un ulteriore livello di sofferenza, come riportano i team di Porte Aperte/Open Doors coinvolti nel lavoro in Sudan. “L’ostilità che i cristiani devono affrontare è particolarmente acuta al di fuori della capitale del Sudan, Khartoum, ma l’epicentro del conflitto è la capitale, dove la maggior parte dei cristiani vive. Molti sono stati costretti a fuggire, mentre quelli che rimangono potrebbero essere costretti a schierarsi nel conflitto, affrontando un rischio ancora maggiore”, ha affermato Fikiru (è un nome di fantasia), un ricercatore di Porte Aperte/Open Doors per l’Africa orientale. “Questo arresto è la prova e un promemoria della dolorosa situazione in cui vivono i cristiani sudanesi”, afferma Jo Newhouse, portavoce del lavoro di Porte Aperte/Open Doors in Africa subsahariana. “Chiediamo al governo sudanese di coinvolgere i leader cristiani in discussioni sulle attuali condizioni dei cristiani detenuti e di consentire l’accesso alle loro famiglie e ai loro avvocati. Chiediamo il loro rilascio immediato e incondizionato. I combattimenti dell’ultimo anno hanno esacerbato le sofferenze dei più vulnerabili. Chiediamo ai partner del Sudan e alla comunità internazionale di fare tutto il possibile per convincere le fazioni in guerra a trovare soluzioni negoziate per questo conflitto”.