Recentemente, aveva avvertito che sulla sua testa pendeva una taglia, messa dal crimine organizzato. Ieri, padre Marcelo Pérez Pérez, sacerdote indigeno di etnia tsotsil, è stato assassinato a San Cristóbal de Las Casas, nello Stato messicano del Chiapas. Padre Pérez, ben conosciuto nel Chiapas per la sua instancabile e coraggiosa attività a favore della pace e dei diritti dei popoli indigeni, è stato assassinato a San Cristóbal de las Casas, poco dopo aver celebrato la messa. L’attacco è avvenuto quando il sacerdote stava guidando il suo autoveicolo ed è stato intercettato da due uomini armati su una moto. Secondo i media locali, padre Pérez è stato colpito da almeno otto colpi di pistola ed è morto sul colpo.
Fortissima l’impressione, accompagnata da indignazione, nella Chiesa locale, in quella messicana e, più in generale, latinoamericana. Ordinato nel 2002, il lavoro pastorale del sacerdote è stato profondamente segnato dall’impegno verso le comunità più vulnerabili, soprattutto nelle aree colpite da violenza, criminalità e sfruttamento. Nel corso del suo ministero, padre Marcelo ha svolto un ruolo chiave come mediatore in complessi conflitti sociali, in particolare a Pantelhó e a Simojovel, un’altra zona afflitta dalla violenza derivante dal traffico di droga e dallo sfruttamento illegale dell’ambra, dove il sacerdote aveva guidato marce e movimenti sociali per denunciare il traffico di esseri umani, il traffico di armi e lo sfruttamento delle risorse naturali. Padre Marcelo era stato uno dei fondatori della Rete ecclesiale ecologica mesoamericana nel 2019.
Il card. Felipe Arizmendi, vescovo emerito di San Cristóbal de Las Casas, ricorda così il sacerdote ucciso: “È stato uno dei primi sacerdoti indigeni che ho ordinato come parroco. Si è sempre impegnato per la giustizia e la pace tra i popoli originari. Non si è mai immischiato nella politica di partito, ma ha sempre lottato per far vivere i valori del Regno di Dio nelle comunità. Sono i valori della verità e della vita, della santità e della grazia, della giustizia, dell’amore e della pace”. Era un sacerdote “molto concentrato sulla sua vocazione, molto orante, molto vicino al tabernacolo e molto impegnato con il suo popolo”.
Il suo assassinio, conclude il porporato ci mostra, ancora una volta, il clima di violenza che si è scatenato in Chiapas e nella maggior parte del Paese. C’è una decomposizione sociale che inizia con la distruzione della famiglia ed è consolidata dall’impunità con cui agiscono i gruppi armati. Non è tutta colpa del governo, ma è un’indicazione che il governo e tutti noi, comprese le chiese, siamo sopraffatti”. Messaggi sono giunti, tra gli altri, dalla Conferenza episcopale messicana e dal Consiglio episcopale latinoamericano (Celam).