Giubileo 2025: mons. Sigalini (Cop), “essere pellegrini è dire che aspiriamo a qualcosa di inedito, di sorprendente”

“Essere pagani vuol dire fissarsi, insediarsi in virtù di una conquista, di una abitazione, che ti fa consistere la vita nel possedere ciò su cui abiti. Andare, viaggiare, camminare, essere pellegrini invece è dire che il possesso non ci basta. Che vogliamo andare oltre, che aspiriamo a qualcosa di inedito, di sorprendente. E la nostra sorpresa è Cristo, è la vita oltre la morte, è la bellezza di Dio, la sua grande bontà, la sua misericordia”. Lo ha scritto mons. Domenico Sigalini, presidente del Centro di orientamento pastorale, in un contributo pubblicato sull’ultimo Dossier di “Orientamenti pastorali” dedicato al tema “Verso il giubileo. Il pellegrinaggio, metafora della vita cristiana”.
Il vescovo sottolinea che “viaggiare è una delle metafore più pregnanti della vita dell’uomo”. “La dimensione spazio-temporale del nostro vivere – spiega – viene pienamente coinvolta e rappresentata dal viaggiare. Il pellegrinaggio del nostro essere nel mondo è capace di esprimere la transizione e la trasformazione: la morte, la vita, i momenti della vita sociale: il trapasso, la vita quotidiana, i riti di passaggio.” “Vivere è camminare sempre verso una meta. Meta ha connessioni linguistiche con il termine limite. C’è un limite al nostro viaggio? O c’è alla fine uno sfondamento? Si va linearmente verso la meta, oppure ci si smarrisce tra le onde del mare o le dune del deserto o negli intrighi della selva? Si procede circolarmente fino a tornare sugli stessi passi o si arriva a un capolinea, inteso come ‘capolimite’?”, domanda il presule, per il quale “è importante allora indagare circa la meta. Insomma si tratta della nostra vita, non di un trekking qualsiasi”. Dopo aver ricordato che, nella storia, “il viaggio è sofferenza e punizione”, “è penitenza” ed “è conquista di libertà”, il vescovo analizza i viaggi di Ulisse, del popolo ebreo e del cristiano per riflettere sulla meta. Nel primo caso si tratta di “un ritorno a casa” e “tutto si chiude tornando al punto di partenza”; “Il viaggio privato della possibilità di finire – osserva – diventa un eterno vagare. Allora diventa un caso serio; viaggiare sì, ma verso dove? Il destino è un eterno ritorno? Il viaggio sarà senza qualità, senza meta un errare continuo in un labirinto mortale o peggio ancora immortale?”. Il popolo ebreo compie invece “un viaggio senza ritorno, verso la terra promessa”; “L’esodo – aggiunge – poi diventerà un esilio che farà nascere ansia, insicurezza, infelicità, ma soprattutto speranza e sarà questa a definire il futuro del popolo”. Infine, “per un cristiano però la promessa che sta all’orizzonte c’è”. Per questo, “il nostro viaggio diventa un pellegrinaggio. Il viaggio è esplorare, muoversi sulla terra, restare in una superficie piana senza verticalità, il pellegrinare invece è scalare una montagna, porta alla scoperta, permette di accedere a qualcosa di nuovo, originale inatteso, apre alla libertà, va oltre le costrizioni contingenti per aprire a uno spazio senza confini, immagine di una spazio interiore”.

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