Papa Francesco: ai gesuiti di Indonesia, Timor Est e Singapore, “lavorare con i rifugiati nel segno di p. Arrupe”. “In Myanmar ho chiesto la liberazione di Aung San Suu Kyi”

Durante il suo ultimo viaggio apostolico (2 – 13 settembre), Papa Francesco ha incontrato in tre distinte occasioni i suoi confratelli gesuiti in Indonesia, Timor Est e Singapore. P. Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero per la cultura e l’educazione, presente agli incontri, ha realizzato in esclusiva per La Civiltà Cattolica il resoconto dei colloqui che sarà pubblicato nel quaderno 4.183 della rivista.
Nei tre incontri, riferisce Spadaro, il Papa ha ricordato in più occasioni la figura di padre Pedro Arrupe, già preposito generale della Compagnia di Gesù, morto nel 1991, e il suo testamento spirituale. “Padre Arrupe ha voluto che i gesuiti lavorassero con i rifugiati – ha detto il Pontefice –. Una frontiera difficile. E lo ha fatto chiedendo loro innanzitutto una cosa: la preghiera, più preghiera”, perché “solamente nella preghiera troviamo la forza e l’ispirazione per affrontare l’ingiustizia sociale”. E, ha aggiunto: “è importante il modo in cui padre Arrupe ha parlato ai gesuiti latinoamericani del pericolo dell’ideologia mescolata alla giustizia sociale”. Arrupe, ha concluso, “è stato un uomo di Dio. Io sto facendo il possibile perché arrivi agli altari”.
Parlando quindi della “difficile” situazione in Myanmar, Papa Francesco ha affermato: “In Myanmar oggi non si può stare in silenzio: bisogna fare qualcosa!”. E ha aggiunto: “Sapete che i rohingya mi stanno a cuore. Ho parlato con la signora Aung San Suu Kyi, che era primo ministro e che adesso è in carcere”. Il Pontefice ha riferito di aver “chiesto la liberazione della signora Aung San Suu Kyi” e di aver ricevuto il figlio a Roma: “Ho offerto il Vaticano per accoglierla nel nostro territorio. In questo momento la signora è un simbolo. E i simboli politici sono da difendere”. Il futuro del Paese, ha concluso, “deve essere la pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di tutti, sul rispetto di un ordine democratico che consenta a ciascuno di dare il suo contributo al bene comune”.

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