Alla porta dell’Europa, dove si nasce ancora

Lampedusa è un luogo speciale, abitato da una comunità che in questi ultimi anni è stata messa a durissima prova dal numero degli sbarchi che ci sono stati, continuando nel tempo ad offrire una risposta generosa e pronta. Da luglio del 2021 il parroco è don Carmelo Rizzo, il cui volto sorridente tocca i cuori e traccia sentieri di speranza.

“O la ami, o la odi. Questa è una terra magica, speciale, dove capitano cose tragiche ma ne succedono anche di meravigliose. Perché l’isola chiama…”

Sono le voci dei lampedusani, che sanno bene di vivere una condizione di “diversità nella diversità”. Già la Sicilia, infatti, è un’isola ma questo scoglio in mezzo al Mediterraneo è “un’isola dell’isola”, se così possiamo dire. Un luogo che mostra il suo volto più vero alla fine della stagione turistica, quando la maggior parte delle attività si fermano e il tempo comincia a scorrere con una velocità che sembra dimezzarsi. L’isola è completamente esposta ai venti e ci sono giornate in cui già a metà del pomeriggio per strada non si vede più nessuno.

“Lampedusa era famosa per il fenomeno dell’accoglienza dei migranti. Io c’ero stato solo di passaggio e ho accolto con entusiasmo, evangelicamente, l’invito del mio vescovo a venire a fare il parroco qui”. Lo racconta don Carmelo Rizzo, 47 anni, che da luglio del 2021 è stato mandato qui da mons. Alessandro Damiano, l’arcivescovo di Agrigento.

“Sono originario di Favara e mi sono diplomato all’istituto alberghiero – racconta con semplicità il sacerdote –. Fino a 26 anni ho fatto il cuoco, prima del mio ingresso in seminario. In realtà all’inizio del mio percorso di fede c’è stata una specie di sfida che avevo lanciato a Dio. A vent’anni non avevo, con Lui, un rapporto molto profondo; mi trovavo a lavorare, con il mio mestiere, nei giorni in cui i miei coetanei si divertivano. Un sabato sera gli dissi: ‘Se esisti, devi farmi trovare un lavoro in cui il week end sia libero’. Incredibilmente, pochi giorni dopo mi proposero di lavorare per una mensa di operai, dal lunedì al venerdì. Rimasi scosso e cominciai a frequentare la parrocchia, visto che ora nel fine settimana potevo. Da lì cominciò anche un percorso col mio padre spirituale, che alla fine, nel 2010, mi ha portato ad essere prete”.

Un ministero che oggi si spende a servizio di una comunità unica, che negli ultimi anni è stata messa a dura prova dal fenomeno degli sbarchi di migranti, ma che ha sempre dato una risposta encomiabile.  “Dinanzi alle persone in difficoltà che vedono arrivare – afferma don Carmelo – gli isolani si sono sempre messi a disposizione, per ogni esigenza. Talvolta anche togliendo qualcosa dalle proprie case e facendo cadere ogni barriera e pregiudizio.”

“Bastava mandare un messaggino – gli fa eco Ketty, una delle catechiste – e ci arrivava da mangiare con i camion, e vestiti a non finire”.

L’umanità che approda qui porta sulle spalle carichi di sofferenza spesso difficili anche solo da immaginare.

“Ti colpiscono i loro sguardi – riprende don Carmelo – anche perché spesso durante la traversata hanno visto in faccia la morte o hanno perso, in mare, parenti o compagni di viaggio. Ti rendi conto che anche una semplice carezza, o chiedere il loro nome, può fare la differenza per farli sentire persone, e non numeri. È quello che cerchiamo di fare ogni volta che ci troviamo ad accogliere dei nuovi arrivati.”

Poi a volte succede l’imprevedibile, come il fatto che ci racconta Damiano, che lavora qui per la cooperativa Passwork. “Rita, 38 anni, originaria della Costa d’Avorio, a luglio del 2021 era giunta in Tunisia ed era incinta, all’ottavo mese. Stava malissimo, non riusciva neanche a camminare ma non appena salita sul barcone diretto verso l’Italia iniziò improvvisamente a stare meglio, fin quando non approdò a Lampedusa. Appena toccato terra, iniziarono le doglie e in brevissimo tempo, nel Poliambulatorio dell’isola, diede alla luce Maria, in una sala parto improvvisata”.

“Ricordo che ero arrivato da poco in questa parrocchia – aggiunge don Carmelo – e questo fatto colpì moltissimo gli isolani: era da alcune decine di anni che nessuno nasceva più a Lampedusa!”

Ancora oggi, infatti, ci sono medici che vengono a visitare le donne in dolce attesa che vivono qui, ma normalmente il parto si svolge in Sicilia, dove in caso di emergenza ci sono strutture che a Lampedusa non possono esserci. La natalità è alta da queste parti ma tutte le mamme di questi ultimi anni – non potendo viaggiare nelle ultimissime settimane di gestazione – normalmente alla fine dell’ottavo mese si spostano a Palermo o ad Agrigento prendendo in affitto una casa e attendono lì di partorire. Maria oggi ha quasi tre anni e ha ricevuto la cittadinanza onoraria. Adesso vive in Sicilia insieme ai suoi genitori, che conservano un ricordo indelebile e grato dell’isola e della prima accoglienza che qui hanno ricevuto. Alla piccola, battezzata recentemente proprio nella parrocchia di don Carmelo, è stato intitolato anche il parco giochi appena inaugurato in via Roma.

La comunità cristiana ha un ruolo insostituibile nel tessuto sociale lampedusano

e la presenza del parroco si rivela strategica sia durante le emergenze estive, per gli sbarchi, che durante i lunghi inverni.

“Qui la parrocchia è fondamentale, perché nonostante la condizione particolare che viviamo ci permette di stare insieme”. Lo garantisce Giusi, catechista e insegnante di religione arrivata qui trenta anni fa… e da allora stregata da Lampedusa. Doveva essere una collocazione temporanea, e invece ormai è a casa sua. “Il sorriso di don Carmelo è contagioso – aggiunge Carmela, un’altra delle catechiste -. Ne abbiamo bisogno e ci fa rianimare, quando siamo tristi”.  “Mi aiuta tanto, mi fa riflettere e soprattutto mi fa studiare – continua il giovane Manuel, uno dei ministranti -. È come un papà e gli voglio un mondo di bene. È un parroco fantastico”.

Don Carmelo si schermisce e minimizza, ma sa bene che a fare la differenza sono proprio le piccole attenzioni. “Il mio parroco – ricorda – era un uomo semplice, disponibile, alla mano. Da lui ho imparato che i gesti semplici, i sorrisi, gli incontri, le strette di mano, fanno tanto. A volte, invece, come dice Papa Francesco, ci si chiude nelle sacrestie e ci si ammala”.

Non a Lampedusa, certamente.

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