Ius scholae: Affinati, “gli immigrati sono una risorsa che non va sprecata” perché “una società inclusiva è più ricca e vitale di una società selettiva”

(Foto: Issr Marvelli)

“Gli immigrati sono una risorsa che non andrebbe sprecata” perché “una società inclusiva è sempre più ricca e vitale di una società selettiva”. Lo dice in un’intervista al Sir Eraldo Affinati, scrittore e insegnante romano, fondatore 16 anni fa con la moglie Anna Luce Lenzi della scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati che oggi conta una settantina di sedi su tutto il territorio nazionale.
“Il colpevole ritardo nel riconoscimento della cittadinanza italiana ai ragazzi che già vivono e studiano da noi, parlano la nostra lingua e i nostri dialetti, hanno genitori che lavorano e pagano le tasse, è frutto di un uso strumentale di questa tema da parte di tutte le forze politiche – afferma lo scrittore -. Il che ha scavato un fossato tra chi invoca l’approvazione della legge e chi la respinge quasi sempre per partito preso. Invece dovremmo fare il contrario: considerare lo ius scholae un tema trasversale, un terreno comune d’intesa collettiva per il bene del Paese, al di là delle speculazioni elettorali”.
Per Affinati, lo ius scholae “serve a tutti noi: economicamente, socialmente, culturalmente, spiritualmente. Una società inclusiva è sempre più ricca e vitale di una società selettiva. Basterebbe pensare a quanto avviene in un’aula scolastica: più i ragazzi sono diversi, meglio funziona. Chi pensa che la presenza degli extracomunitari in classe possa ritardare il cosiddetto svolgimento del programma non si rende conto di cosa vuol dire apprendere. A volte il ripetente ti svela quello che lo studente meritevole tiene nascosto. Il che non significa negare i problemi che nascono dalla convivenza. Ma soltanto nell’eterogeneità le singole identità prendono vita, maturano, si giustificano e si sostengono: questo vale in aula così come nella società civile”. In qualità di insegnante, Affinati ha avuto molti alunni privi di cittadinanza italiana. “Bisogna distinguere – precisa – fra gli immigrati di prima generazione e i loro figli. Io ho conosciuto gli uni e gli altri. Chi è appena arrivato è un bambino o un adolescente prezioso perché si porta dietro un’esperienza superiore a quella dei coetanei italofoni: conosce una lingua e ne sta imparando un’altra, ha una cultura di riferimento che si incrocia con le nuove abitudini che incontra, quasi sempre è già stato protagonista di avventure inimmaginabili per i suoi pari età. I docenti dovrebbero far dialogare Mohamed con Marco, Kaligia con Francesca, Omar con Alina, guidando e orientando i loro rapporti”. I risultati, assicura, “potrebbero essere sorprendenti per entrambe le parti. Ecco perché io dico che questi immigrati sono una risorsa che non andrebbe sprecata: guai a isolarli dal resto del gruppo! Per quanto riguarda invece le seconde generazioni – conclude -, si tratta di ragazze e ragazzi le cui competenze andrebbero utilizzate meglio di quanto già non accada”.

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