Domenica 15 settembre – XXIV del Tempo Ordinario

Marco 8,27-35: “Tu sei il Cristo”
Una nuova sequela

Il Vangelo di Marco ha come tema di fondo l’identità di Gesù. Una domanda lo percorre dall’inizio alla fine: “Chi è mai costui?” (Mc 4,41). Il titolo che Marco aveva dato al suo Vangelo era: “Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (1,1). Con il brano di oggi siamo giunti al centro dell’itinerario che ci propone il suo vangelo: “Tu sei il Cristo!”. La confessione di fede nella messianità di Gesù è il primo grande traguardo e segnala il punto di svolta verso una seconda tappa, quella del riconoscimento della sua figliolanza divina, che avverrà presso la croce: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (15,39).
Mentre la folla intuisce che Gesù è un personaggio speciale, ma l’interpreta con le categorie del passato (Giovanni il Battista, Elia o uno dei profeti), Pietro vede in Gesù il Messia, colui che Israele attendeva da secoli, annunciato dai profeti. Una figura, quindi, che viene “dal futuro”, in quanto promessa di Dio, e si proietta nell’avvenire come speranza di Israele.
La parola ebraica Mashiah o Messiah, tradotta “Cristo” in greco, significa “Unto”. Unti (con l’olio profumato) erano i re, i profeti e i sacerdoti al momento della loro elezione. Col tempo, il Messia, il Cristo, l’Unto per eccellenza era diventato il Liberatore atteso dal popolo di Dio, da alcuni ritenuto di stirpe sacerdotale, da altri di stirpe regale.
Gesù era il Messia, il Cristo. Lo riconosce lui stesso durante l’interrogatorio davanti al sinedrio: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto? Gesù rispose: Io lo sono!” (Mc 14,60-61), suscitando lo scandalo del sommo sacerdote. Perché allora Gesù impose il silenzio agli apostoli, “ordinando loro severamente di non parlare di lui ad alcuno”? Perché quel titolo era carico di aspettative terrene e di ambiguità. Israele si attendeva un Messia terrestre e glorioso, mentre Gesù sarebbe stato un Messia sconfitto ed umiliato.
Solo dopo la sua passione e morte, quando divenne chiaro che tipo di messianismo era il suo – quello del “Servo di Jahvè” della prima lettura -, il titolo Cristo diventò il suo secondo nome. Lo troviamo più di 500 volte nel nuovo testamento, quasi sempre come nome composito: Gesù Cristo, o Nostro Signore Gesù Cristo.
A questo punto, Gesù “cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto…”. E “faceva questo discorso [logos, parola] apertamente”. Si tratta di un nuovo inizio e la parola d’ordine è la croce, che appare qui in Marco per la prima volta. Ogni traguardo diventa un nuovo inizio, un’altra partenza, perché Dio è sempre oltre. La nuova tappa è quella della croce. E qui Pietro, fiero di aver vinto la tappa precedente, inciampa subito, anzi diventa lui stesso pietra d’inciampo (Mt 16,23).
Ad un nuovo inizio corrisponde un’altra chiamata, rivolta sia ai discepoli che alla folla: “Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Questa nuova fase del cammino non è per semplici simpatizzanti o dilettanti. Si tratta di portare la propria croce, cioè, assumere la propria realtà, senza sognarne un’altra, e mettersi alla sequela di Gesù. La messa in gioco è grande: guadagnare o perdere la propria vita, quella vera!