Venezia81. In gara Amelio con “Campo di battaglia” e Kurzel con “The Order”. A Bellocchio il Premio Bresson

Quarto giorno di proiezioni a Venezia81, in gara il primo autore italiano. È Gianni Amelio con “Campo di battaglia”, racconto centrato sulle ultime settimane della Grande Guerra. Al Lido arriva anche il potente thriller poliziesco “The Order” del regista australiano Justin Kurzel, che rilegge un attacco al sistema democratico negli Stati Uniti negli anni ’80. In competizione anche il francese “Leurs enfants après eux” dei gemelli Ludovic e Zoran Boukherma. Alla Mostra è anche il giorno di Marco Bellocchio che ha ricevuto il Premio “Robert Bresson” dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla “Rivista del Cinematografo”, con i Dicasteri per la Cultura e la Comunicazione della Santa Sede. Il punto dalla Mostra.

(Actor_Alessandro_Borghi__Credits_Claudio_Iannone)

Quarto giorno di proiezioni a Venezia81, in gara il primo autore italiano. È Gianni Amelio con “Campo di battaglia”, racconto centrato sulle ultime settimane della Grande Guerra, al seguito di tre medici nelle prime linee. Una riflessione sulla brutalità della guerra e la banalità del male, che falcia vite di giovani innocenti. Al Lido arriva anche il potente thriller poliziesco “The Order” del regista australiano Justin Kurzel, che rilegge un attacco al sistema democratico negli Stati Uniti negli anni ’80 per mano di un gruppo di neonazisti, tracciando un impressionante parallelismo con l’assalto a Capitol Hill nel 2021. A interpretarlo e produrlo Jude Law. In competizione anche il francese “Leurs enfants après eux” dei gemelli Ludovic e Zoran Boukherma con Gilles Lellouche e Ludivine Sagnier, uno sguardo ruvido e malinconico su adolescenti francesi negli anni ’90 bloccati in una periferia esistenziale con famiglie deragliate e senza speranze sul futuro. Alla Mostra è anche il giorno di Marco Bellocchio che ha ricevuto il Premio “Robert Bresson” dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e dalla “Rivista del Cinematografo”, con i Dicasteri per la Cultura e la Comunicazione della Santa Sede. Il punto dalla Mostra.

“Campo di battaglia”
Ricorda non poco “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, struggente romanzo denuncia di Erich Maria Remarque, che nel 2022 è stato adattato nuovamente al cinema da Edward Berger. Parliamo di “Campo di battaglia”, l’ultimo film di Gianni Amelio, maestro del cinema italiano (suoi “Lamerica”, “Le chiavi di casa”, “La stella che non c’è”, “Il primo uomo” e “Hammamet”) che al Festival di Venezia è stato incoronato nel 1998 con il Leone d’oro per “Così ridevano”. Scritto insieme ad Alberto Taraglio, “Campo di battaglia” si ispira al romanzo “La sfida” di Carlo Patriarca ed esplora il trauma umano legato alla Grande Guerra, alla sua pesante “eredità” in termini di vittime, allargando il campo della riflessione all’inutilità e tragicità di ogni guerra.

La storia. Italia 1918, a poche settimane dalla fine del conflitto in un ospedale militare si trovano a operare due medici ufficiali, Stefano e Giulio, legati da una lunga amicizia ma diversi per metodo. Con loro anche l’infermiera Anna, collega di università che però non ha completato gli studi perché ostacolata in quanto donna. I tre passano le giornate a esaminare pazienti, a curare ferite raccolte in battaglia e altre autoindotte per sfuggire alla ghigliottina del ritorno al fronte. Il mondo intorno si sfalda, tra sofferenze, paure e assenza di futuro…

(Gabriel_Montesi_and_Alessandro_Borghi__Credits_Claudio_Iannone)

Interpretato con grande controllo e forza espressiva da Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini, “Campo di battaglia” conferma ancora una volta le qualità narrative di Gianni Amelio, la sua capacità di tradurre la complessità di ferite della Storia in maniera comprensibile, accessibile, al vasto pubblico. Qui lo sfondo è la Grande Guerra, il buco nero che ha estirpato un’intera generazione di giovani in Italia e nel resto dell’Europa. Una vertigine di dolore che purtroppo si è replicata con la Seconda guerra mondiale e vive a tutt’oggi nei tanti conflitti sparsi. Amelio offre una potente suggestione, una critica alla meschinità e inutilità della guerra, pur non inquadrandola mai; l’azione, infatti, è sempre tra le corsie di un ospedale, affollato da anime disgraziate e mutilate. “Campo di battaglia” è un racconto di impostazione classica, intenso e dolente, che raggela e sconvolge, capace di tracciare potenti ancoraggi con l’oggi. Complesso, problematico, per dibattiti.

“The Order”
È ispirato a fatti realmente accaduti negli Stati Uniti, raccontati nel romanzo “The Silent Brotherhood” di Kevin Flynn e Gary Gerhardt, il film “The Order” del regista australiano Justin Kurzel, con Jude Law, Nicholas Hoult, Tye Sheridan e Jurnee Smollett.

La storia. Stati Uniti 1983, un gruppo di neonazisti inizia a farsi notare per una serie di furti in denaro. Progressivamente la posta si alza, lasciando trapelare un progetto ben più articolato e pericoloso: il rovesciamento del sistema democratico nel Paese. A tallonarli le forze dell’Fbi, guidate dal ruvido Terry Husk…

(The Order Jude_Law__Jurnee_Smollett_and_Tye_Sheridan__Credits_Michelle_Faye)

“‘The Order’ – sottolinea il regista – è una caccia all’uomo nelle profondità di quell’odio, un presagio di un’America divisa, un colpo di avvertimento di ciò che è stato e di ciò che potrebbe accadere”. Justin Kurzel costruisce un film di grande impatto visivo e su un tema di stringente attualità, il rischio di rovesciamento della democrazia statunitense (di tutte le democrazie) sotto la pressione di forze antisistema, di rigurgiti neonazisti. Sullo stesso tracciato il recente “Civil War” di Alex Garland.

Il racconto solido e ben compatto corre veloce su un copione che gira puntuale sotto lampi di adrenalina, in linea con lo stile del poliziesco. La regia è presente e vigorosa, come pure gli interpreti che cesellano bene i personaggi, soprattutto Jude Law che rende bene, sfaccettato, l’agente Fbi Terry Husk, ammaccato dalla vita e disposto a tutto pur di risolvere il caso che lo “perseguita”, che lo ha portato a mettere da parte persino la famiglia. Ottima anche la performance di Nicholas Hoult nei panni del leader suprematista. “The Order” è un’opera che abita bene il perimetro del film di genere, il thriller d’azione, allargando però il campo della riflessione sul tema della fragilità dell’istituzione democratica e l’urgenza di disinnescare il riaffermarsi di pericolose sirene d’odio. Complesso, problematico, per dibattiti.

“Leurs enfants après eux”
Classe 1992, i gemelli francesi Ludovic e Zoran Boukherma sono in gara a Venezia81 con un racconto di formazione dai toni amari, malinconici. È “Leurs enfants après eux” (“And Their Children after Them”), adattamento del romanzo di Nicolas Mathieu. Protagonisti Paul Kircher, Angélina Woreth, Sayyid El Alami, Gilles Lellouche e Ludivine Sagnier.

La storia. Francia dell’Est, agosto 1992. Anthony è un quattordicenne che vive in una periferia isolata, in una zona depressa a livello socio-economico. Il futuro promette poco e anche in casa le cose non vanno bene tra un padre con problemi di bottiglia e una madre fragile. Anthony sogna una storia con la coetanea Steph, ma ogni volta il loro amore fatica a trovare una possibilità. Nel mentre, si accende una rivalità pericolosa con Hacine, giovane marocchino che si sente rifiutato nell’integrazione…

-LEURS_ENFANTS_APR__S_EUX_-_Paul_Kircher_and_Ang__lina_Woreth__Credits_CHI-FOU-MI_PRODUCTIONS__TR__SOR_FILMS_WARNER_BROS._PICTURES__Marie-Camille_Orlando

“La nostra intenzione era quella di realizzare un film crudo, intenso e viscerale”. Così i gemelli Boukherma, che firmano un’opera che si direziona con chiarezza verso l’orizzonte narrativo abitato dai fratelli Dardenne, affermando però un proprio stile, fatto anche di lampi pop. Il film ha una buona base di partenza e delle ottime intuizioni, lavorando bene sui giovani attori, ma nell’insieme sconta qua e là lungaggini e dispersioni che ne compromettono la compattezza. Emerge comunque con chiarezza l’intento di un’opera su giovani vinti, senza apparente futuro e con un ascensore sociale bloccato. Uno sguardo dolente e malinconico, dove la speranza fatica a filtrare. Complesso, problematico, dibattiti.

A Marco Bellocchio il Premio Bresson
Un altro grande maestro del cinema italiano al Lido. È Marco Bellocchio, che ha ricevuto il prestigioso Premio “Robert Bresson”, riconoscimento (alla 25a edizione) conferito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e “Rivista del Cinematografo” con il patrocinio dei Dicasteri per la Cultura e per la Comunicazione della Santa Sede.

(da destra) mons. Davide Milani, Marco Bellocchio, Giuseppe Tornatore, beatrice Beleggia (ph. Karen Di Paola)

“Per la mia formazione cattolica – ha sottolineato il regista – diffido quando si parla di geni, ma accetto il premio molto volentieri. Non sono cattolico ma la dimensione spirituale e la tensione verso l’invisibile sono elementi propri dell’arte cinematografica. Dobbiamo in tutti i modi cercare un dialogo tra chi crede e chi non crede, senza combattersi”. A consegnare il premio il regista Giuseppe Tornatore e mons. Davide Milani, presidente FEdS, che ha letto anche una lettera inviata per l’occasione dal card. José Tolentino de Mendonça. “Bellocchio – ha scritto il cardinale – fin dai suoi esordi ha dimostrato una straordinaria capacità di esplorare la complessità dell’animo umano attraverso una lente cinematografica unica, incisiva e riconoscibile. Le sue opere penetrano nelle profondità delle questioni sociali, politiche e morali, sfidando spesso convenzioni e pregiudizi, mettendo in risalto la libertà delle scelte umane tra le macchinazioni della Storia”.

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