Mentre, proprio in questa domenica, primo giorno di settembre, siamo richiamati dal papa a sperare e agire con il creato, come recita il tema dato alla specifica Giornata quest’anno, ci rendiamo conto invece di quanta fatica facciamo a sperare e agire all’unisono anche con la sola umanità, se non con le sole nostre comunità… Val la pena dare uno sguardo, per quanto fugace, agli eventi delle ultime settimane che, pur non avendo cambiato di molto il superficiale atteggiamento generale su questi temi, hanno caratterizzato l’evolversi della situazione, offrendo comunque spunti di riflessione. Due ci paiono le svolte, se così vogliamo chiamarle, più evidenti: il passaggio, nella campagna elettorale statunitense, dalla candidatura di Joe Biden a quella di Kamala Harris in campo democratico e, passando ad altro genere di cronaca, la pur modesta ma eclatante “invasione” da parte dell’Ucraina in territorio russo. Il primo evento, certamente ha cambiato il clima degli ultimi mesi che separano gli USA dall’appuntamento elettorale di novembre, da ritenersi il più importante e determinante nel mondo tra i tanti di questo 2024. Se le previsioni, allora, davano per probabile vincitore il candidato repubblicano, suscitando non poche preoccupazioni in molti, ora le carte in tavola sono cambiate e si può pensare ad una competizione dall’esito diverso o comunque …incerto. La neo-candidata, a dire il vero, sembra non premere molto su quegli aspetti che la renderebbero “unica”, o meglio la “prima” nel caso di elezione, come la sua identità femminile o la sua origine indiano-giamaicana, quanto piuttosto sul progetto – alquanto arduo – di unificare un popolo drammaticamente diviso e di ridare dignità e prestigio non solo alle fasce più deboli, ma anche alla famosa “classe media” piuttosto bistrattata e dimenticata pure in America. Il contendente, fedele al suo stile sprezzante e chiaramente populista, non demorde e c’è da sperare che i risultati non si trasformino in una bagarre se non in una “rivoluzione”, per il bene degli States, per quello dell’Occidente e, infine, di tutti. Il blitz oltre confine delle truppe scelte di Kiev, che dura da meno di un mese (nulla in confronto ai quasi 30 – oltre 920 giorni – dell’illegale occupazione russa nel Donbass, senza contare i dieci anni di quella in Crimea), costituisce comunque un vulnus al diritto internazionale: ma è ridicolo – in fase di guerra – ritenerlo un reato da parte di chi intende solo difendersi e per questo tenta anche di frenare le continue incursioni aeree nemiche dalle zone di confine nel proprio territorio. “Azione terroristica” la definisce pateticamente Putin, mentre continua a lanciare missili, sganciare bombe, moltiplicare droni contro la popolazione civile e le infrastrutture della vita quotidiana di un popolo intero. Al riguardo persiste in noi la sorpresa, anzi l’incredulità, di fronte ad una sorta di “licenza di uccidere” e di distruggere città e territori implicitamente pretesa da Mosca e concessa da troppi (anche dalle nostre parti, in cui non si vede uno straccio di manifestazione contro la prepotenza vigliacca e micidiale del Cremlino): sembra proprio – com’essa ritiene di dovere e di poter essere – al di sopra di ogni legge e di ogni decenza, osando richiamare anche altri alla correttezza internazionale!
C’è da registrare però anche qualche caduta di stile da parte di Zelensky. Ci riferiamo, in particolare, al bando nei riguardi della Chiesa ortodossa ucraina in comunione col Patriarcato di Mosca: per quanto motivata da sospetti e timori di collusione, resta deprecabile, come ha stigmatizzato papa Francesco domenica scorsa nel primo (e unico?) monito a quella che ha sempre definito come “martoriata Ucraina”. Solo un accenno, infine, all’altro campo di battaglia internazionale vicino a noi e che in qualche modo ci coinvolge (sia nel Mar Rosso, dove l’Italia è al comando della missione europea di difesa, che in Libano, dove stanziano truppe italiane per la missione di intermediazione Unifil): si può dire che i negoziati tra Israele e Hamas sono iniziati quasi subito, ma sembra di assistere ad un permanente gioco delle tre carte o dei quattro cantoni, in cui però nessuno vuol perdere e nessuno sa vincere, rinviando all’infinito la resa dei conti e qualsiasi tipo di accordo, millantando sempre buona volontà e accusando il contendente di slealtà.
(*) Nuova Scintilla