Perdonanza: card. Petrocchi (L’Aquila) “praticata quotidianamente è fonte di incisivo rinnovamento personale e collettivo. Istituzioni e Organismi intermedi pensino a Laboratori dell’incontro”

Foto Calvarese/SIR

Per attuare e diffondere i valori della Perdonanza, l’Aquila è chiamata a volare “ad alta quota, con le ali di Celestino”. L’esortazione è del card. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo emerito di L’Aquila, che stasera ha celebrato stazionale con il rito di apertura della Porta Santa nella Basilica di Collemaggio in occasione della 730ª Perdonanza Celestiniana che segna l’inizio dell’indulgenza annuale concessa da Papa Celestino V nel 1294.

Basilica di Collemaggio (Foto Arcidiocesi L’Aquila)

“Per ‘celestinizzare’ il nostro stile di vivere – ha detto il porporato – occorre anzitutto assumere un autentico atteggiamento “penitenziale”. Bisogna, perciò, entrare attraverso la Porta Santa in compagnia della virtù dell’umiltà, che rende capaci di ‘dirsi’ e ‘sentirsi dire’ la verità nell’amore”. Un atteggiamento che consente di “ispezionare, con sapienza evangelica, i tunnel dell’anima in cui sono occultati pensieri, sentimenti e comportamenti macchiati dal peccato, per poi avviare un processo di purificazione della memoria”. “Denunciare liberamente con onestà etica ed intellettuale le proprie colpe è faticoso, ma fa bene: costituisce un atto di ‘igiene’ spirituale e anche una terapia psicologica. Il ‘non-perdono’, infatti, genera una patologia dell’anima. Gradualmente soffoca la capacità di ricevere e dare amore. Il perdono, oltre che una medicina efficace, costituisce anche un ‘ricostituente’ dell’anima: la sana e la rimette in buona salute” perché “rimuove le emozioni negative sostituendole con sentimenti positivi derivanti dall’atteggiamento di misericordia e di amore. È importante questa ‘pulizia pasquale’ della memoria per evitare che il passato condizioni il presente ed ipotechi negativamente il futuro”. Quattro per il card. Petrocchi i dinamismi che scandiscono questo percorso penitenziale: “ricevere il perdono da Dio; perdonarsi come siamo stati perdonati dal Padre celeste; dare il perdono e chiedere perdono a coloro che abbiamo ferito con i nostri sbagli”. La Perdonanza è un impegno da vivere ‘con’ la Chiesa e ‘come’ Chiesa. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia”. Da qui il monito dell’arcivescovo emerito a “distinguere tra evento celebrativo della Perdonanza, che ha il suo centro nei giorni 28 e 29 agosto di ogni anno, e lo ‘spirito’ della Perdonanza, che non ha limiti di calendario ed è permanente. Pertanto, non si deve esaurire l’esperienza della Perdonanza alla sola pratica dell’indulgenza: se resta un evento episodico, sigillato temporalmente e poi messo nella ‘cantina’ delle cose passate, diventa un ‘talento’ sciupato o tuttalpiù messo sottoterra. Ma se praticata con cadenza quotidiana ed estesa all’intero arco dell’anno, la Perdonanza si rivela fonte di incisivo rinnovamento personale e collettivo. I valori spirituali e umani della Perdonanza sono destinati a generare e diffondere la Cultura del Perdono, fattore determinante per la promozione della Civiltà della fraternità e dell’amore. In questo quadro, anche le Istituzioni pubbliche e gli Organismi intermedi dovrebbero mobilitarsi per approntare ‘Laboratori dell’incontro’, dove si apprende l’arte del perdono e dove si educa al dialogo tenace e costruttivo”. La Perdonanza, ha concluso il cardinale, “è un evento collettivo, perciò va vissuto ‘al plurale’: bisogna imparare a pensare ‘in unità’ e a guardare ‘lontano’. A L’Aquila, il ‘Cantiere etico’ del Perdono deve rimanere sempre attivo e creativo”.

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