“I permessi per entrare in Israele dalla Cisgiordania sono la cosa più importante. Ce n’erano 160.000, ora credo non più di 10.000, probabilmente 8.000. Ma le persone vogliono davvero lavorare”: lo ha detto mons. William Shomali, vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina, incontrando in questi giorni a Gerusalemme una delegazione di Acs in visita di solidarietà volta a intensificare il suo sostegno alle comunità cristiane della Terra Santa. Per quanto riguarda la sospensione dei permessi per entrare in Israele per lavorare, Sami el-Yousef, amministratore delegato del Patriarcato latino, ha spiegato ad Acs che i residenti in Cisgiordania “pensavano ci sarebbero voluti un paio di mesi e poi Israele avrebbe riemesso i permessi, perché hanno bisogno dei lavoratori. Ma con l’attuale mentalità israeliana, questo non conta. Hanno iniziato a importare migranti da tutto il mondo. Questo raddoppia il loro costo del lavoro e i migranti non hanno le competenze o il valore della lingua”. Ciò dimostra come gli attacchi del 7 ottobre abbiano portato a una completa rottura della fiducia tra arabi e israeliani in Terra Santa. Per el-Yousef, “se ci concentriamo troppo sull’orizzonte politico, faremo le valigie e ce ne andremo. Tuttavia, questa terra ha già visto molte crisi in passato, e la Chiesa ha sempre trovato il modo di essere il mezzo di sostentamento della comunità. Non c’è motivo di credere che le cose andranno diversamente. È più difficile, e dobbiamo pensare bene a quello che faremo in futuro, ma sono sicuro che la presenza cristiana sopravvivrà, e la Chiesa deve essere presente con le sue istituzioni”.