Papa Francesco: “la letteratura rappresenta una sorta di palestra di discernimento”

“Ascoltare la voce di qualcuno”. È una definizione di letteratura che piace molto a Papa Francesco, come ha scritto nella “Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione”. E, ricorda, “non si dimentichi quanto sia pericoloso smettere di ascoltare la voce dell’altro che ci interpella! Si cade subito nell’autoisolamento, si accede ad una sorta di sordità ‘spirituale’, la quale incide negativamente pure sul rapporto con noi stessi e sul rapporto con Dio, a prescindere da quanta teologia o psicologia abbiamo potuto studiare”. “Percorrendo questa via, che ci rende sensibili al mistero degli altri, la letteratura ci fa imparare a toccare il loro cuore”, ha osservato il Pontefice, secondo il quale “compito dei credenti, e dei sacerdoti in particolare, è proprio ‘toccare’ il cuore dell’essere umano contemporaneo affinché si commuova e si apra dinanzi all’annuncio del Signore Gesù ed in questo loro impegno l’apporto che la letteratura e la poesia possono offrire è di ineguagliabile valore”. Ma che cosa guadagna il sacerdote da questo contatto con la letteratura? Nella letteratura, ha evidenziato, “sono in gioco questioni di forma di espressione e di senso. Essa rappresenta pertanto una sorta di palestra di discernimento, che affina le capacità sapienziali di scrutinio interiore ed esteriore del futuro sacerdote. Il luogo nel quale si apre questa via di accesso alla propria verità è l’interiorità del lettore, implicato direttamente nel processo della lettura. Ecco dunque dispiegarsi lo scenario del discernimento spirituale personale dove non mancheranno le angosce e persino le crisi. Infatti, sono numerose le pagine letterarie che possono rispondere alla definizione ignaziana di ‘desolazione'”. “Il dolore o la noia che si provano leggendo certi testi – ha aggiunto – non sono necessariamente brutte o inutili sensazioni. Lo stesso Ignazio di Loyola aveva notato che in ‘coloro che procedono di male in peggio’ lo spirito buono agisce provocando inquietudine, agitazione, insoddisfazione. Questa sarebbe l’applicazione letterale della prima regola ignaziana del discernimento degli spiriti riservata a coloro che ‘vanno di peccato mortale in peccato mortale’ e cioè che in tali persone lo spirito buono si comporta ‘pungendole e rimordendo la loro coscienza con la sinderesi della ragione’ per portarli al bene e alla bellezza”.
Si capisce così che “il lettore non è il destinatario di un messaggio edificante, ma è una persona che viene attivamente sollecitata ad inoltrarsi su un terreno poco stabile dove i confini tra salvezza e perdizione non sono a priori definiti e separati. L’atto della lettura è, allora, come un atto di ‘discernimento’, grazie al quale il lettore è implicato in prima persona come ‘soggetto’ di lettura e, nello stesso tempo, come ‘oggetto’ di ciò che legge. Leggendo un romanzo o un’opera poetica, in realtà il lettore vive l’esperienza di ‘venire letto’ dalle parole che legge”. Così “il lettore è simile ad un giocatore sul campo: egli fa il gioco ma nello stesso tempo il gioco si fa attraverso di lui, nel senso che egli è totalmente coinvolto in ciò che agisce”.

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