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Libano. Fady Noun (giornalista): “Nessuno vuole la guerra ma cominciamo a temere una escalation”

Voci da un Libano che piange le sue vittime più piccole uccise nell’attacco israeliano alla periferia meridionale della capitale. “Beirut oggi è come ogni giorno”, racconta Fady Noun, giornalista libanese indipendente. “Il Paese, in questo momento, vive un momento di paura e apprensione. Perché non vogliamo un'escalation ma cominciamo a temere che alcuni limiti siano stati superati. Questo è il trauma”. Il governo mercoledì si è riunito con urgenza per dire che il Libano non vuole la guerra e per dare formalmente mandato al ministro degli Esteri di allacciare tutti i contatti necessari per evitare un'escalation

(Foto ANSA/SIR)

Beirut piange le sue vittime più piccole. Secondo il ministero della Salute libanese tre persone, tra cui due bambini, sono state uccise nell’attacco israeliano alla periferia meridionale di Beirut che ha provocato anche 74 feriti mentre continua ancora la ricerca dei dispersi sotto le macerie. Le bare bianche sono arrivate, scortate da una folla immensa. I due piccoli saranno sepolti nel cimitero di Rawdet el Haoura Zeinab, luogo generalmente riservato ai combattenti martiri. Il padre è ancora in ospedale, la madre è lì, sotto shock. La giovane donna sarebbe arrivata con qualche minuto di ritardo rispetto al resto della famiglia ed era appena entrata nell’edificio quando ha sentito tremare tutto. Amira, il nome della figlia, era un “fiore”, dice tra le lacrime la mamma, ed era molto legata al fratello. “Al momento dell’attacco, erano abbracciati, sono arrivati ​​così all’ospedale”, racconta. Il figlio maggiore, curato per le ustioni, non sa ancora che suo fratello e sua sorella sono morti.

Le lacrime delle donne sono il volto più doloroso di ogni guerra. A piangere oggi sono le donne libanesi. Nel tardo pomeriggio di martedì l’esercito israeliano ha compiuto un attacco mirato a Beirut, per uccidere il comandante di Hezbollah che Israele ritiene responsabile del lancio del razzo che lo scorso sabato aveva ucciso 12 bambini e ragazzi a Majdal Shams, una cittadina sulle alture del Golan, territorio conteso ma controllato da decenni da Israele. Erano bambini anche Amira e Hassan. “Beirut oggi è come ogni giorno”, racconta Fady Noun, giornalista libanese indipendente, corrispondente di Asia News a Beirut. “Il Paese, in questo momento, vive un momento di paura e apprensione. Perché non vogliamo un’escalation ma cominciamo a temere che alcuni limiti siano stati superati. Questo è il trauma”. Il governo mercoledì si è riunito con urgenza per dire che il Libano non vuole la guerra e per dare formalmente mandato al ministro degli Esteri di allacciare tutti i contatti necessari per evitare un’escalation.

La crisi innescata con il conflitto Hamas-Hezbollah-Israele cade in un Libano da anni economicamente provato e in affanno. In questo periodo estivo all’aeroporto di Beirut si contavano quasi 14.000 arrivi al giorno. Da ieri il movimento si è invertito. Ci sono state molte cancellazioni negli hotel e nelle compagnie aeree. Alle cancellazioni, si aggiungono le persone in fuga dal paese. La stagione estiva è sempre stata una boccata d’ossigeno, soprattutto per il settore del turismo. Quest’anno non sarà così. “La crisi economica in Libano è una crisi bancaria”, sottolinea Noun. Dal 2019 le persone non possono accedere ai propri soldi in banca. “Si vive grazie agli aiuti finanziari di chi vive nei Paesi del Golfo, negli Stati Uniti e Canada, Sud America. Siamo un Paese che vive all’estero”. Alla crisi economica è subentrata la crisi al confine con Israele. Si conta che siano almeno 100.000 i libanesi che hanno abbandonato i villaggi bombardati o minacciati di bombardamento. Molti sono arrivati anche a Beirut. C’è quindi anche un problema di rifugiati in Libano. E c’è gente che è rimasta nelle proprie case ma vive nella paura continua di essere bombardati.“All’inizio pensavamo che sarebbe finita presto. Pensavamo ad una crisi che sarebbe durata qualche mese. E invece dal 7 ottobre, sono passati 10 mesi”.

Il Libano è diviso. Fady Noun osserva: “Hezbollah ha deciso di entrare in guerra con Israele da solo. È stata una decisione unilaterale. La decisione di entrare in una guerra spetta solo allo Stato libanese. Hanno quindi usurpato la nostra sovranità Pensavamo che la crisi restasse contenuta e che il paese potesse continuare a vivere nonostante la guerra di logoramento in corso nel sud del Paese. Ma ora con la morte di Ismail Haniyeh, leader di Hamas, ucciso a Teheran nella notte tra martedì e mercoledì con una delle sue guardie del corpo, lo scenario cambiato”. Da Beirut si fa fatica a vedere una luce di speranza, in questo momento. “L’unica speranza – dice Noun – è che questa crisi non degeneri in un’escalation e non diventi una guerra regionale. Gli Stati Uniti dicono che non vogliono la guerra e non sappiamo quanto siano sinceri. L’Iran dice che non vuole la guerra, ma non sappiamo quanto siano sinceri. Il 90% dei libanesi, è contro la guerra. La Siria ha detto che non vuole la guerra e così anche la Giordania”.

“Chi vuole allora la guerra?”.

Il giornalista libanese aggiunge: “Non dobbiamo mai dimenticare che il cuore di ciò che sta accadendo in questo momento in Medio Oriente, è il destino della Palestina. Ci sarà una Palestina oppure no? Per capire cosa sta succedendo, bisogna partire da questa domanda”.

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