Domenica 4 agosto – XVIII del Tempo Ordinario

Gv 6,24-35

Come abbiamo spiegato la settimana scorsa a proposito dell’episodio della moltiplicazione dei pani, esso in Giovanni è seguito dal discorso sul “pane di vita”, seppure con un decisivo intermezzo costituito dalla scena dell’attraversamento del mare in burrasca e del rientro della barca a riva (vv. 16-21) cui si riferiscono i vv. 24-25, che vedono la folla impegnata in un “cercare” che si completa una volta “trovato” Gesù.

Dal v. 26 inizia, invece, la lunga risposta di Gesù, che sarà inframmezzata solo da brevi interventi degli interlocutori o di qualche discepolo. Gesù parte esattamente dalla dinamica cercare/trovare cui abbiamo appena accennato (e su cui chiuderanno anche i vv. 35-40), portando l’attenzione della folla sulla qualità del pane di cui essi si sono nutriti. Come nel dialogo con la samaritana l’invito era stato a non accontentarsi di un’acqua che finisce e non disseta più, ma a cercare un’acqua che continui a zampillare per la vita eterna (cfr. 4,13-15), così ora Gesù invita a distinguere tra un pane che si perde e uno che dura per la vita eterna (ancora un gioco tra il piano dell’esperienza comune e quello della vita spirituale), mettendo a fuoco lo strumento di questo dono: il Figlio dell’uomo (v. 27), ossia colui che Dio ha riconosciuto e “autenticato” (cfr. il sigillo) come proprio tramite.

La folla sembra ben intenzionata a seguire le sue indicazioni, ma risponde ovviamente secondo le categorie che già conosce: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (v. 28). Quali “opere” (al plurale), ossia quali compiti da svolgere, quali leggi da rispettare, quali sacrifici da compiere… : la buona volontà c’è, le strade immaginate sono quelle già note. Ma serve un passo in più, uno scarto in una direzione diversa: dalle “opere” all’ “opera” (singolare), dal “compiere” al “credere” (v. 29). È la relazione personale a essere chiamata in causa, è su quella che devono davvero scommettersi la vita.

Allora la folla risponde nuovamente secondo le categorie consuete e la memoria scritturistica che conserva, ossia richiamando il dono della manna nel deserto (cfr. Es 16), l’esperienza evidentemente considerata più affine al discorso di Gesù. Ma il maestro li corregge in ben tre punti (v. 32): non Mosè, ma “il Padre mio”; non al passato, ma al presente (“dà”); non (un tempo) ai padri, ma (ora) “a voi” viene dato il pane alethinòs, quello vero, autentico.

La folla intuisce la portata dell’offerta di Gesù e chiede, come la samaritana (cfr. anche la successiva menzione della “sete” al v. 35): “Signore, dacci sempre questo pane”. Viene così udita una delle tipiche frasi del Gesù giovanneo che si aprono con l’Ego èimi (“Sono io”, con o senza predicato), evocando l’autorivelazione di Dio all’Oreb (Es 3,6): è Gesù il nuovo orizzonte della ricerca proposta a queste folle, ma di una ricerca che deve partire ormai da presupposti ben diversi di quella dei vv. 24-25; una ricerca che, nell’ “andare verso Gesù”, manifesti l’adesione alla sua persona e alla sua parola.

In lui si è riconosciuto Dio, ponendo su di lui il suo sigillo. In lui agli uomini e alle donne di allora e di sempre è rivolto l’invito a riconoscere la pienezza del dono di vita voluto da Dio per l’umanità intera.