“Ogni sacerdote non vive il suo ministero pastorale in funzione della propria affermazione, del posto da difendere o occupare, ma nello spirito della comunione fraterna, del camminare insieme, sempre e comunque nello spirito sinodale del servizio”. Lo ha detto mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina e vescovo di Tricarico, celebrando questa sera nella cattedrale di Tricarico, l’ordinazione presbiterale di don Antonio Martelli. “Carissimo don Antonio, non sei tu il festeggiato ma Cristo che ti ha scelto chiedendoti di lasciare il lavoro che ti dava sicurezza economica e sistemazione se pur lontano dalla tua terra. Eppure, lontano dai tuoi luoghi intrisi di luci, profumi, tradizioni, dalle strette viuzze di Tricarico, il Signore ti ha chiamato a svolgere non più un lavoro retribuito, ma una missione per una donazione totale della tua vita a servizio di Cristo e della sua Chiesa”. Soffermandosi sul tema della missione, ripreso dal Vangelo proclamato, mons. Caiazzo ha auspicato che “ogni fratello e sorella che incontrerai possano cogliere in te la luce e la bellezza del Signore che salva”. Da qui l’invito al sacerdote novello, “a non lasciarsi travolgere dal fare ma fermarsi, entrando in quell’atteggiamento spirituale che è il silenzio, lontano da tutti. Il riposo diventa così tempo prezioso che dona nuova lucidità, ma soprattutto rinnova le motivazioni del vivere la vocazione”. Richiamando figure ed esempi della Chiesa locale, mons. Caiazzo ha esortato don Martelli “a essere pane, il sacerdote deve lasciarsi mangiare dalla gente. Ma nessun sacerdote sarà realmente tale se lui per primo, quotidianamente, non si nutre del Pane Eucaristico e non lo adora nella sua carne e nel tabernacolo. Il rischio è sempre quello di celebrare la messa ma di non vivere la messa, di dare Gesù eucaristico vivo ai fedeli senza accorgersi che è presente sull’altare e nell’offerta della propria vita che si rinnova o di preparare schemi di preghiera sempre per gli altri senza farli propri. Ripeto: oggi, come ieri, bisogna stare attenti a non lasciarci travolgere dal fare. È fondamentale recuperare le ragioni stesse del fare: avere un cuore che ama ciò che fa”. “Carissimo don Antonio – ha concluso il vescovo – le vesti sacerdotali che fra poco indosserai esprimono il servizio che sei chiamato a svolgere (la stola diaconale), per Cristo a tempo pieno, la grazia di Dio da comunicare ai fedeli (la stola sacerdotale), il peso della storia che dovrai imparare a sostenere (la casula). Non è un abbellimento più o meno prezioso ma l’identità di ciò che comporta la vita sacerdotale. Il venerabile don Tonino Bello ci ricorda che ‘stola e asciugatoio’ stanno insieme”.