Carceri: mons. Trevisi (Trieste), “pene inumane per sovraffollamento, inadeguatezza strutture e impossibilità a sanificarle, mancanza di personale, caldo”

“La situazione dei carcerati in Italia è impressionante. Molto si è scritto. Ora occorre agire. Occorre invertire la tendenza di aumentare i reati a cui corrispondono pene detentive per inventare altre modalità di pene, che meglio corrispondono a quanto previsto anche dalla nostra Costituzione, dai Trattati internazionali e dalle nostre leggi”. Lo scrive mons. Enrico Trevisi, vescovo di Trieste, dopo la rivolta di ieri nella casa circondariale “Ernesto Mari” di Trieste, che ha causato 8 feriti e visti coinvolti oltre cento detenuti dei 260 che sono chiusi nel carcere. La struttura potrebbe invece ospitare fino a un massimo di 150 persone. I detenuti hanno contestato il sovraffollamento che rende molto dure le condizioni di vita all’interno della struttura, aggravato dall’ondata di calore.
“Il sovraffollamento cronico, l’inadeguatezza strutturale di molte carceri, la mancanza di personale a tutti i livelli (dalla polizia penitenziaria, agli amministrativi, dagli educatori ai direttori…) sono solo alcuni dei macro problemi che si intrecciano. Io non sono il più competente per farne un’analisi e questo non è il contesto. Mi limito a dire perché dobbiamo mantenere alta l’attenzione sui carcerati, anche qui a Trieste”, evidenzia il presule, offrendo alcuni spunti di riflessione a caldo.
“Le persone sono in carcere perché non hanno rispettato la legge: ed ecco che è un controsenso se poi lo Stato non rispetta le leggi che regolamentano il carcere e i carcerati”: “Purtroppo il sovraffollamento (per cui nel 2013 l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani, per la violazione dell’art. 3, sul divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti), l’inadeguatezza delle strutture e la impossibilità di sanificarle (ecco la presenza delle cimici che non si riescono a debellare), la mancanza del personale rendono le pene inumane. Il caldo in strutture sovraffollate rende tutto ancora più esasperante”, osserva mons. Trevisi.
I detenuti, aggiunge il vescovo, “sono persone assai vulnerabili: il dramma dei suicidi nelle carceri italiane (e in genere in tutte le carceri) ci dice che i detenuti sono più esposti alla disperazione, paradossalmente anche quando si avvicina la loro scarcerazione”, infatti, si chiede, “quali speranze di ripresa può coltivare chi non ha avuto la possibilità di prepararsi una condizione di vita extra-carcere – un alloggio, un lavoro – che renda ‘sensato’ l’impegno di non commettere più altri reati?”.

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