“Senza cambiamenti concreti, la visione di una Chiesa sinodale non sarà credibile e questo allontanerà quei membri del popolo di Dio che dal cammino sinodale hanno tratto forza e speranza”. È quanto si legge nell’Instrumentum laboris della seconda sessione del Sinodo dei vescovi. “Questo vale in modo ancora più speciale per quanto riguarda l’effettiva partecipazione delle donne ai processi di elaborazione e alla presa di decisioni, come richiesto in molti dei contributi ricevuti dalle Conferenze episcopali”, si sottolinea nella parte del testo in cui si tratta il tema dell’esercizio dell’autorità, che nella Chiesa “non consiste nella imposizione di una volontà arbitraria”: “In una Chiesa sinodale, la competenza decisionale del vescovo, del Collegio episcopale e del Romano Pontefice è inalienabile, in quanto radicata nella struttura gerarchica della Chiesa stabilita da Cristo. Tuttavia, non è incondizionata: un orientamento che emerga nel processo consultivo come esito di un corretto discernimento, soprattutto se compiuto dagli organismi di partecipazione della Chiesa locale, non può essere ignorato”. L’obiettivo del discernimento ecclesiale sinodale non è infatti “far obbedire i vescovi alla voce del popolo, subordinando i primi al secondo, né offrire ai vescovi un espediente per rendere accettabili decisioni già prese, ma condurre a una decisione condivisa in obbedienza allo Spirito Santo”. No, allora, alla contrapposizione tra consultazione e deliberazione: “Nella Chiesa la deliberazione avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale che decide in virtù del suo ufficio”. Per questa ragione la formula di “voto solamente consultivo” sminuisce il valore della consultazione e va corretta.