I giovani delegati a Trieste: “C’è molto da fare sulla partecipazione, non solo per la nostra generazione”

Per molti di loro si è trattato della prima esperienza ad una Settimana sociale. Ma questo non li ha intimoriti, anzi. Stimolante e arricchente – raccontano – è stato il confronto intergenerazionale “oltre alla possibilità – confessa una di loro – di conoscere personalità di spicco che da cittadina comune non mi sarebbe stato possibile incontrare”. Il Sir ne ha avvicinati alcuni, raccogliendo vissuti, pareri, proposte. In eventi come quello triestino “è importante che continuino ad essere messi nella mani dei partecipanti strumenti e parole per fare e dire, per poter agire anche nei territori di appartenenza”

Trieste 5–7-2024 50 edizione delle Settimane sociali dei cattolici Italiani, organizzato dalla Conferenza Episcopale Italiana (Cei) Lavori Ph: Cristian Gennari/Siciliani

C’è emozione nell’essere protagonisti di un evento nazionale importante a livello ecclesiale e sociale; c’è consapevolezza del proprio valore e dell’importanza del proprio contributo; ma c’è anche la volontà di far comprendere che sta crescendo nel Paese una generazione che vuole partecipare, essere attiva, incidere nel presente per determinare il futuro. Raccontano questo i volti e le storie dei giovani delegati alla 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia che si concluderà domani a Trieste. Una delle scelte attuate e rivendicate dal Comitato scientifico e organizzatore è stata quella di riservare un terzo della platea dei partecipanti ai giovani. Non solo un segnale, ma un’esigenza insopprimibile volendo andare davvero “Al cuore della democrazia” contando sul contributo di tutti, nessuno escluso.

“Laboratori della partecipazione”. “Il confronto fa crescere”, afferma Ludovica Beritelli, 26enne della diocesi di Nicosia, sintetizzando il giudizio positivo diffuso anche tra i giovani delegati sulle modalità di coinvolgimento dei partecipanti alla Settimana sociale. “Nei gruppi di lavoro c’è stato modo di relazionarsi con persone adulte che hanno, ovviamente, molta più esperienza di me ed è stata un’occasione per imparare”, spiega Giuseppe Russo, 23enne della diocesi di Nicosia e studente universitario a Catania, dove è entrato a far parte dell’Ufficio comunicazioni dell’arcidiocesi.

“È stato bellissimo poter discutere di tematiche così importanti anche con adulti e, a volte, anziani, in un confronto intergenerazionale che penso sia davvero importante per lo sviluppo dell’Italia”,

gli fa eco Rachele Barale, 24enne insegnante di religione e responsabile nell’Acr della diocesi di Cuneo-Fossano. “Già con il Cammino sinodale – rileva – abbiamo fatto esperienza del confronto, un’occasione senza la quale anche noi giovani non avremmo avuto modo di riflettere insieme su fede, politica, democrazia, partecipazione, temi sociali”. Anche per Fabrizio Iacono, fresco 32enne originario della diocesi di Ragusa dove è attivo nella Pastorale sociale e prima come animatore del Progetto Policoro, “è stato un privilegio partecipare al dialogo tra generazioni e al confronto sulle sfide che l’oggi ci pone partendo da un’identità comune”. Se per molti quella di Trieste è la prima esperienza vissuta in eventi di questo rilievo, per Isabella Biasci, 26enne della diocesi di Volterra dove è impegnata nella Pastorale sociale e del lavoro, quella di quest’anno è la seconda partecipazione ad una Settimana sociale, dopo che nel 2021 era stata a Taranto.

“A Trieste, grazie all’app, c’è modo di dire il proprio pensiero e questo rimane”,

sottolinea: la dinamica del confronto fa sì che “dai pensieri dei singoli si sia individuato quello più comune a tutti e su quello si è lavorato. Questo ha reso il confronto più concreto, meno forzato. E questo mi è piaciuto molto”. Anche Ndreca Tresi, 24enne educatrice dell’arcidiocesi di Milano dove fin da piccola è attiva nell’oratorio della parrocchia di Santa Giustina, “lavorare nei laboratori è stato sicuramente interessante; ognuno ha espresso le sue visioni, però

lo schema valoriale ha accomunato tutti e questo ha consentito di ritrovarsi su quelli che sono i principi fondamentali”.

Le sofferenze del “cuore della democrazia”. Per capire quanto sia la voglia di partecipare che , emblematica è proprio la storia di Ndreca: “La partecipazione sociale è sempre stata dentro la mia vita. Quando mi è stata fatta la proposta di rappresentare la diocesi a Trieste, ho pensato di accettare proprio perché nel piccolo, dal basso, ho sperimentato una forma di partecipazione. Ed è cresciuta in me la convinzione che per poter arrivare in alto, per garantire un raccordo verticale, bisogna sempre partire dal basso. E chi è attivo nel piccolo, in un ambito, può portare il proprio contributo”, racconta come un fiume in piena: “Purtroppo, finora, non ho potuto sperimentare la partecipazione ‘politica’ perché ho ricevuto la cittadinanza italiana da pochissimo e, di conseguenza, non ho potuto votare fino al mese scorso. L’ho fatto per la prima volta alle Elezioni europee. È stato un po’ difficile aspettare così tanto tempo, fino ai 24 anni; e ho sofferto per non aver potuto finora l’elettorato passivo e attivo”. “E – confessa –

mi ha indignato l’astensionismo così alto, avendo io così a cuore la partecipazione ‘politica’”. “La bassa affluenza alle urne per le elezioni europee, non solo tra i giovani, è stato angosciante”,

conferma Giuseppe: “È come se non interessasse più partecipare, scegliere, incidere”. Lo conferma anche la sua esperienza da rappresentante degli studenti in Università: “Quando si sono svolte le ultime elezioni – spiega – sono stato eletto con 20 voti; bastava davvero poco per sbloccare i seggi, per via del regolamento didattico dell’Ateneo di Catania che, per ovviare all’abbassamento dell’affluenza al voto per gli organi interni, ha abbassato di molto la soglia per rimanere eletti”. “Anche questo fatto – commenta – dimostra che

c’è molto da fare sul tema della partecipazione

anche nei confronti della mia generazione, così come per quelle immediatamente precedente e successiva per

aumentare la consapevolezza di cos’è la democrazia, della grazia che abbiamo di vivere in uno Stato nel quale la forma di espressione politica è democratica”.

Un faro le parole di Mattarella. Ai giovani delegati è piaciuto molto l’intervento di apertura pronunciato dal Capo dello Stato. “È stato molto prezioso”, sottolinea Giuseppe. “È stato molto interessante quanto ha detto, offrendo spunti di riflessione su cosa sia oggi la democrazia e i rischi che potrebbe incontrare nella società odierna”, conferma Vincenzo Liistro, 29enne della diocesi di Siracusa e membro della Consulta giovanile che ha collaborato con il Comitato scientifico nell’organizzazione dell’evento triestino. “Parlare del tema della democrazia, anche nel contesto giovanile, non credo sia così semplice. Per questo è importante che in questi giorni ci sia stata data la possibilità di sviscerarlo in tutte le sue sfaccettature e nei vari ambiti”. E l’intervento del presidente della Repubblica ha, in qualche modo, orientato i lavori di questi giorni. Che “democrazia” e “partecipazione” non siano tra i trend topic della gioventù trova riscontro nell’esperienza di tanti: “Non sono molto affrontati nelle chiacchierate tra di noi, ma questo succede non solo ai giovani. Per quanto mi riguarda, in famiglia e con i parenti si parla di politica mentre con i coetanei universitari e lavoratori questo non succede”. Invece, ribatte Fabrizio, “nella mia cerchia di amici

quelli della democrazia e della partecipazione sono temi che affrontiamo; ci riguardano personalmente e ci coinvolgono”.

“In generale – aggiunge –, penso che ci sia tra i giovani un’attenzione verso questi temi”.

Si riparte da Trieste. “In questi giorni ho partecipato al gruppo su impresa, innovazione e sviluppo sostenibile ed è stato bello condividere la scelta delle sfide da affrontare per iniziare processi, ognuno lì dove vive. Lungo questa settimana

ho percepito forte l’invito a rimanere svegli, a continuare a guardare e osservare per poter capire come ognuno può fare la propria parte”,

rivela Ludovica. “Ho scelto di partecipare ai gruppi di lavoro dedicati alla comunicazione, al linguaggio da adottare certo che potesse servirmi nell’esperienza che vivo tra Catania e Ragusa”, racconta Giuseppe. Un tema molto sentito, come si è potuto registrare anche nei “Caffè in redazione” che i delegati – molti i giovani partecipanti – hanno vissuto con i giornalisti di Sir, Avvenire e Tv2000. “Nel mio laboratorio – racconta Ndreca – ci siamo focalizzati anche sul tema del raccordo istituzionale alto-basso ed è importante riflettere su come i giovani possano esserne interpreti, soprattutto quando è finalizzato all’inclusione sociale”. “Con il principio del pluralismo – rileva – si tutelano le minoranze, ma quali? Perché alcune vengono tutelate, altre no. C’è una discriminazione anche in questa categoria. Ci si dimentica sempre dei poveri, degli ultimi. E nel dialogo ci siamo detti che se non ci fosse la Chiesa che si occupa degli ultimi e degli emarginati sarebbe un problema perché manca un intervento statale, istituzionale”. “A partire dall’indice sulla povertà – la proposta – sarebbe auspicabile un dialogo, un raccordo tra la Chiesa e le istituzioni riguardo quest’ambito. Non ci scandalizza più per il numero di poveri e per quanti dormono per la strada, quasi come fosse la normalità. Serve ripartire da loro, non può farlo solo la Chiesa ma anche lo Stato deve intervenire”. Avvicinandosi al termine dell’esperienza, i giovani forniscono anche un paio di rilievi sull’organizzazione della Settimana sociale: “A Trieste si è persa un po’ la possibilità di apprezzare a fondo le buone pratiche, che si sono potute vivere meno rispetto a quanto successo a Taranto, dove era previsto nel programma un tempo per conoscere le diverse realtà ed esperienze”, osserva Isabella. Per Fabrizio

“è importante che continuino ad essere messi nella mani dei partecipanti strumenti e parole per fare e dire, per poter agire anche nei territori di appartenenza”.

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