(Trieste) “Ogni autentica giustizia, ogni autentico impegno non può non ripartire proprio da chi non ha voce, da chi reclama la sua parte che non significa solo la sua parte di beni” ma l’effettiva possibilità di “prendere parte alla costruzione della casa comune”. Per questo nessuno può essere considerato “uno scarto e nemmeno solo un oggetto da accudire” ma “una persona che come tutti possa prendersi cura di sé, degli altri, delle istituzioni”. Lo ha affermato questa mattina Annalisa Caputo, docente all’Università degli studi di Bari, nella sua relazione “In prima persona: abitare e costruire la casa comune della democrazia” pronunciata nella prima assemblea plenaria della 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia, ospitata al GCC – Generali Convention Center di Trieste.
“Il luogo della fragilità è il luogo della responsabilità”, ha osservato la docente, ricordando che “la democrazia è fragile” e questo “è il suo paradosso” perché la “sua forza si regge sulla nostra fragilità”.
Caputo ha poi voluto condividere alcune indicazioni con i delegati: innanzitutto “l’impegno in prima persona singolare e plurale”, sulla scorta dell’“I care” di don Milani perché “ogni volta che trasformiamo la cura in ‘me ne frego’ contribuiamo all’avanzare dei fascismi”. Bisogna poi “difendere i focolai nelle oasi del noi”, perché “la tessitura del noi è sempre controcorrente, il bene è originario ma il male è radicale e la risalita all’origine è faticosa”. L’atteggiamento è importante: “Non si impone, si può solo testimoniare. E questo vale anche per la democrazia” che “è una prassi in divenire”. “Se la chiudiamo in un sistema di idee centrato sul di noi già non è più democrazia”. La docente ha sottolineato l’importanza di “seminare parole e pratiche di condivisione, perché così crescerà lo spazio della partecipazione e della condivisione” a partire dai ragazzi e dai giovani. Caputo ha concluso presentando l’esperienza dell’“Abbecedario della cittadinanza democratica”, con il quale nell’Ateneo barese è stato chiesto a più di 4mila studenti dalla scuola dell’infanzia alle superiori è stato chiesto di regalare una parola, “quelle più significative nella loro percezione della cittadinanza”. Questo perché “non siamo chiamati solo ad educare alla partecipazione democratica ma anche ad imparare dai più piccoli come costruire ed abitare la casa comune”. Così “dai buchi presenti nel tessuto democratico dovuti all’assenza degli ultimi” si è passati “al dono che proprio i più piccoli e fragili possono fare a tutti se siamo capaci di dare loro la voce che purtroppo spesso nelle nostre realtà comunitarie e istituzionali non hanno”.