(Trieste) Da Taranto a Trieste, e oltre. Si potrebbe sintetizzare così l’esperienza della diocesi di Treviso, che in questi tre anni intercorsi dai due appuntamenti della Chiesa italiana sulle urgenze del Paese ha deciso di dare corpo e gambe alle sollecitazioni della precedente kermesse in materia di crisi climatica avviando – primo caso in assoluto in una diocesi italiana – una comunità energetica rinnovabile che sta muovendo i primi passi e intende essere “contagiosa” per altri territori. A parlarne al Sir, da Trieste dove ha l’incarico di membro del Comitato scientifico e organizzatore, è il vescovo, mons. Michele Tomasi.
Come è nata l’idea di questo esperimento sul territorio?
Tornando a casa dalla Settima sociale di Taranto con la mia delegazione, ci siamo proposti di coinvolgere quante più persone possibili su una delle urgenze più drammatiche del nostro tempo, quello della crisi climatica. E lo abbiamo voluto fare proprio partendo dalla conoscenza capillare del territorio che caratterizza la nostra diocesi. Con l’economo, abbiamo cominciato a studiare un progetto e col tempo abbiamo trovato un contenitore giuridico-amministrativo per realizzarlo. La formula che abbiamo individuato è quella di una Fondazione di partecipazione, formata da tre istituzioni di soci fondatori ma aperta eventualmente anche ad altre realtà, in modo da dare corpo ad una comunità energetica – situata all’interno della diocesi e grande quanto la diocesi – che si avvale della collaborazione e dell’impegno fattivo delle parrocchie e di tutte le realtà intenzionate ad avviare un lavoro energetico sul nostro territorio.
Come funziona la comunità energetica?
Abbiamo attivato 50 cabine primarie diffuse all’interno della diocesi – più o meno in corrispondenza delle unità pastorali – per lo scambio tra chi produce energia fotovoltaica e i soci che la consumeranno, come le varie strutture esistenti, le parrocchie, le associazioni, le fabbriche e le famiglie.
L’obiettivo è quello di fare produzione e consumo simultaneo, di unire insieme il raggiungimento dell’aumento di produzione di energia rinnovabile e il cambiamento degli stili di vita, riducendo i combustili fossili, favorendo la sostenibilità e la creazione di comunità.
Grazie ai benefici contemporanei della produzione e del consumo, potremo riuscire ad aiutare tutte le famiglie che hanno problemi a pagare le bollette. I conseguenti incentivi dello Stato, infatti, possono essere distrubuiti all’interno della comunità, tra chi produce e chi consuma. E se non dovessero esserci famiglie da aiutare per le bollette, il ricavato potrebbe essere utilizzato per buoni spesa o buoni studio.
Siete la prima diocesi in Italia ad aver avviato questa esperienza: che messaggio volete dare a chi scegliesse di adottare la stessa strada?
Non rivendichiamo nessun diritto di primogenitura, ma pensiamo in grande, con la speranza di raggiungere una soglia di produzione che ci garantisca il massimo degli incentivi, in modo da tradursi in un risparmio effettivo di chi partecipa.
Comunità, parrocchie, scuole professionali della diocesi e altre realtà stanno già montando i loro impianti. Sul nostro sito c’è un apposito banner per le manifestaszioni di interesse. Abbiamo anche formato un apposito gruppo di ambasciatori della comunità energetica rinnovabile, composto di esperti della materia ma anche di giovani che vogliono mettersi a disposizione per il “passaparola” tra i loro coetanei, grazie al materiale informativo predisposto.
Tutto questo grazie ad un monitoraggio radicale sul territorio: un’operazione non scontata, ma da mettere a frutto, noi ci auguriamo, anche in altre zone del nostro Paese. Se funziona, la nostra idea può essere infatti una buona spinta perché in tutte le diocesi si possano raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale segnalati nell’agenda internazionale per questo decennio: con strumenti magari diversi, a seconda delle differenti realtà, e con l’aiuto delle parrocchie per rispondere a questa proposta della Chiesa italiana.