Scuola: Pellai, “unico presidio del pensiero pensante” ma “serve un’inversione di rotta”

Foto Calvarese/SIR

In un mondo “virtualizzato” che spinge i giovanissimi verso la gratificazione istantanea, il divertimento, il “fallo senza pensarci troppo”, la scuola “rappresenta l’unico grande presidio del pensiero pensante”, il luogo di “elaborazione, costruzione e allenamento del pensiero”. Ecco perché costituisce “il tema per eccellenza su cui riflettere oggi, in un tempo di grave emergenza educativa”. Lo afferma in un’intervista al Sir Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, che il prossimo 4 luglio parteciperà all’incontro “Scuola: educarsi alla partecipazione”, nell’ambito della 50ª Settimana sociale di Trieste (3-7 luglio).
In questo momento, spiega Pellai, la scuola è il luogo dove bambini e ragazzi “incontrano la maggior parte dei loro coetanei nella vita reale”; a scuola “acquisiscono le competenze pro-sociali e socio-relazionali”. E’ inoltre “il luogo degli apprendimenti, dell’acquisizione del sapere e del saper fare; costituisce quel cantiere all’interno del quale i giovanissimi si allenano alla vita preparandosi a diventare i cittadini del futuro”. Tuttavia, secondo l’esperto, oggi occorre “un’inversione di rotta”. “Molto di quello viene pensato, detto, generato intorno alla trasformazione dell’educazione”, spiega, è “quasi esclusivamente basato sulla richiesta di adeguare la scuola alla rivoluzione digitale, anche se quest’ultima si è rivelata un autogol non indifferente nel percorso di crescita e formazione di bambini e ragazzi”. A Trieste, anticipa al Sir, “inviterò ad un’inversione di rotta, a ridefinire le priorità della scuola che non devono essere quelle di seguire – o inseguire – la direzione del mondo che spinge ad entrare nei propri meccanismi, rivelatisi in realtà molto disumanizzanti e incapaci di offrire i risultati sperati. Vorrei quindi condividere – conclude Pellai – una riflessione sul significato di una scuola in grado di modellare non solo il sapere e il saper fare degli studenti, ma anche il loro saper essere”.

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