(da Marina di Acate) – Un sole bianco pallido si riflette sulla interminabile distesa di plastica delle serre di ortaggi del ragusano. 100 chilometri ininterrotti lungo la costa da Gela a Siracusa e 15 chilometri verso l’interno. Siamo a Marina di Acate, sulla costa meridionale siciliana, una cittadina che vive solo d’estate. È la cosiddetta “fascia trasformata”, intesa sia come trasformazione del modello di agricoltura (dalla coltura nei campi alle serre per una produzione intensiva) sia del paesaggio. Una terra di nessuno che solo da una decina di anni, anche grazie all’azione della Caritas di Ragusa, è diventata visibile all’opinione pubblica. Qui vivono e lavorano come “fantasmi” – perché non hanno accesso a servizi e tutele – circa 15.000 immigrati tunisini, marocchini e albanesi, la metà del totale dei lavoratori. Marina d’Acate è il comune con la più alta percentuale di residenti stranieri in Italia, il 33%. Tantissime sono famiglie con bambini. Le condizioni in alcuni casi sono al limite dello sfruttamento e del degrado. Non tutti hanno contratti o documenti in regola, molti hanno residenze fittizie altrove, sono isolati dalla società, con grosse difficoltà per gli spostamenti, le cure mediche e per mandare i figli a scuola. Eppure in dieci anni, da quando è iniziato il Progetto Presidio, oggi portato avanti dalla diocesi e Caritas di Ragusa con fondi dell’8 per mille e di Save the children, qualcosa è cambiato. Tre anni fa è stato finanziato con 200.000 euro di Fondazione con il Sud anche un altro progetto “Trasformare la fascia trasformata”, che aiuta le famiglie a trovare casa, dialoga con le imprese agricole e cerca di migliorare l’impatto ambientale. Una sfida immane: a Marina di Acate c’è una spiaggia posta sotto sequestro, 10 metri di dune di sabbia e plastica.
Sembra proprio di essere nelle campagne tunisine quando incontriamo Uided, madre di 7 figli. Siamo in visita insieme ad una delegazione di Caritas Tunisia, nell’ambito di un gemellaggio con le Caritas di Sicilia. Nel patio c’è un grande gelso, sui fili per il bucato una stesa di tappeti e coperte. Dietro una semplice casa di mattoni bianca. Intorno alle vesti della mamma si stringono tre bambine piccolissime, invase dalle mosche. Nessun gesto di fastidio, sembrano abituate. Pochissimi sorrisi. Uided non parla ancora italiano, nonostante sia qui da tempo con il marito, che lavora nelle serre. Intorno al cortile, tenuto abbastanza bene, si spalanca invece il degrado. Rottami di vecchie auto, di macchinari agricoli, ceneri delle fumarole di fitofarmaci che intossicano persone e ambiente, sporcizia ovunque. Perfino il pelo di un montone che probabilmente è stato ucciso per la festa musulmana di Eid (per questo l’invasione di mosche?). La famiglia vive lontano da tutto, in una situazione irreale. Per fortuna a giorni, grazie al progetto Presidio, potrà andare a vivere in condizioni più dignitose a Vittoria, la città del ragusano dove è il più grande mercato ortofrutticolo del Meridione, che smista i prodotti nei supermercati di tutta Italia. “Nella fascia trasformata si produce quasi la metà della produzione ortofrutticola di tutta Italia”, spiega Vincenzo La Monica, responsabile immigrazione di Caritas Ragusa, che due volte a settimana lavora qui.
A Vittoria il 13 giugno è accaduta anche una tragedia familiare, sintomo della violenza e del degrado presente in queste zone: un giovane tunisino con dipendenza da sostanze ha appiccato il fuoco alla casa. La madre e la sorella maggiore sono morte per le ustioni, il padre e la sorella 19enne sono ancora in gravi condizioni negli ospedali di Catania e Palermo. Si è salvata solo una sorella che studia a Torino. “Insieme a Migrantes volevamo aiutarli a rimpatriare le salme ma poi se ne è occupato il consolato”, dice La Monica.
Chi lavora nella fascia trasformata chiama gli imprenditori agricoli “padroni”. Guadagnano in media 40 euro al giorno lavorando 7 giorni su 7. Se prendono un permesso per fare una visita medica devono recuperare le ore. Ora che inizia il caldo torrido si fanno turni di notte. “Iniziamo alle 3 o alle 4 del mattino – racconta Aziz, 44 anni, padre di sei figli (quattro ragazze e due bambini piccoli, tutti scolarizzati) – e lavoriamo fino alle 11. Abbiamo appena raccolto i meloni, ora dobbiamo pulire le serre, poi andremo in vacanza in Tunisia per due settimane”. La moglie Fatma, 42 anni, è al lavoro nonostante i problemi di deambulazione. “C’è una grossa questione di genere – dice l’assistente sociale Lucia Nicosia, che incontra le famiglie nei luoghi in cui vivono –. Le donne sono educate per sposarsi e fare figli, non sono abituate a pensare ai loro bisogni. Fanno fatica ad aprirsi”. Tutta la famiglia di Aziz abita in una stanza di un casolare spartano, d’inverno non hanno riscaldamenti. L’azienda agricola li tratta bene, hanno fiducia in lui. E Aziz è contento perché grazie al progetto le figlie studiano e ricevono sostegno scolastico, partecipano ai laboratori di teatro, alle gite e alle altre attività. I bambini e le ragazze sembrano davvero più sorridenti e felici.
Tre centri a Marina di Acate. Da quando Caritas Ragusa ha avviato il progetto Presidio (promosso inizialmente in diverse zone d’Italia da Caritas italiana) sono sorti tre centri: il primo, dove da dieci anni si distribuisce vestiario, coperte e giubbotti catarifrangenti per chi va in bicicletta di notte nelle sterrate senza illuminazione; il centro “Orizzonti a colori” che segue circa 200 minori; e, da un anno, il centro per le mamme e i bambini coordinato da Save the children, con servizio giuridico, visite mediche, animazione. “L’obiettivo del progetto – afferma Valeria Bisignano, coordinatrice del progetto per Save the children – è migliorare le condizioni di vita delle persone perché possano uscire da questa situazione di sfruttamento”. Nei primi tre mesi dell’anno hanno registrato 62 nuovi beneficiari. Ora c’è anche una scuola materna pubblica con tutti bambini tunisini.
Con l’ultimo Decreto flussi e le stringenti e farraginose normative stabilite dal cosiddetto “Decreto Cutro” si sta verificando poi una situazione inedita: alcuni “intermediari” tunisini che vivono da queste parti propongono ai connazionali di venire legalmente a lavorare in Sicilia. “I tunisini pagano somme che vanno dai 5000 ai 7000 euro, poi spartiti tra intermediari e proprietari delle aziende agricole”, evidenzia Fabio Sammito, direttore della Caritas di Noto. Per i tunisini, che non potrebbero entrare in Italia come rifugiati, è una alternativa attraente al rischio di perdere la vita in mare affidandosi ai trafficanti. Molti accettano.
Ma spesso quello che viene presentato come un paradiso è un nuovo incubo di sfruttamento e degrado.
“Al nostro centro di ascolto a Modica – racconta Sammito – è venuta una donna senegalese a chiedere aiuto. Dopo aver pagato l’intermediario non ha trovato nulla, né casa né contratto di lavoro. Ha fatto il nome dello sfruttatore ma il giorno dopo è stata trasferita nelle campagne pugliesi. Abbiamo informato le forze dell’ordine”. Purtroppo, aggiunge, “il decreto flussi è necessario perché l’Italia ha bisogno di manodopera. Ma c’è
una burocrazia talmente assurda che sembra fatta per disincentivare gli imprenditori onesti”.
Caritas Ragusa è stata quindi una pioniera in queste zone. A distanza di dieci anni, conclude il direttore Domenico Leggio, che è anche delegato regionale delle Caritas di Sicilia, “abbiamo fatto uscire il territorio dall’invisibilità, offerto strumenti di socialità alle famiglie e dato ai ragazzi l’opportunità di frequentare la scuola ed essere sostenuti. Il privato sociale, le istituzioni e le forze dell’ordine hanno iniziato ad interessarsi a queste realtà. Quando abbiamo denunciato le agromafie abbiamo subìto dei sabotaggi. Ma la Chiesa deve essere sempre presente nelle periferie del mondo”.