In sala il poetico “Fuga in Normandia” e il ruvido “The Bikeriders”. Finale di stagione per “Bridgerton 3”

Profondo e commovente. È “Fuga in Normandia” (“The Great Escaper”), film britannico che si muove tra commedia e dramma con intense sfumature di sentimento firmato Oliver Parker, con i Premi Oscar Michael Caine e Glenda Jackson. Uno sguardo delicato e struggente, che regala non poche emozioni. E sempre in sala il ritorno di Jeff Nichols: l’autore statunitense presenta “The Bikeriders” con Austin Butler, Jodie Comer e Tom Hardy. Una cartolina sul Paese “a stelle e strisce” al seguito di un clan di motociclisti nel Midwest degli anni ’60 tra passioni, motori, risse e solitudine. Infine, su Netflix dal 13 giugno gli ultimi quattro episodi di “Bridgerton 3”, dove tutti i tasselli del romance nell’Inghilterra “Regency” targato Shonda Rhimes trovano finalmente posto. Il punto Cnvf-Sir.

Profondo e commovente. È “Fuga in Normandia” (“The Great Escaper”), film britannico che si muove tra commedia e dramma con intense sfumature di sentimento firmato Oliver Parker, con i Premi Oscar Michael Caine e Glenda Jackson. Prendendo le mosse da una storia vera, l’opera sottolinea da un lato il valore della memoria, il ricordo dello sbarco in Normandia, dall’altro è l’istantanea della vita sulla soglia dei 90 anni, di una coppia di sposi che avverte le incertezze dell’immediato domani e la paura di perdersi dopo una vita insieme. Uno sguardo delicato e struggente, che regala non poche emozioni. E sempre in sala il ritorno dietro alla macchina da presa di Jeff Nichols dopo l’ottimo “Loving” (2016): l’autore statunitense presenta “The Bikeriders” con Austin Butler, Jodie Comer e Tom Hardy. Una cartolina sul Paese “a stelle e strisce” al seguito di un clan di motociclisti nel Midwest degli anni ’60 tra passioni, motori, risse e solitudine. Da un libro del fotoreporter Danny Lyon, il racconto ruvido e ombroso corre veloce sul tracciato del cult “Easy Rider” (1969). Infine, su Netflix dal 13 giugno gli ultimi quattro episodi di “Bridgerton 3”, dove tutti i tasselli del romance nell’Inghilterra “Regency” targato Shonda Rhimes trovano finalmente posto. Il punto Cnvf-Sir.

“Fuga in Normandia” (Cinema, 20.06)
È difficile raccontare in maniera credibile e rispettosa la condizione di vita della terza età, senza scivolare in patetismi o macchiette comiche. Il film britannico “Fuga in Normandia” firmato da Oliver Parker riesce in questo con poesia. Presentato in anteprima al 15° Bif&st, “Fuga in Normandia” prende le mosse da una storia vera, accaduta nel 2014, in occasione del 70° anniversario del D-Day. A firmare il copione è William Ivory, interpreti d’eccezione i Premi Oscar Michael Caine e Glenda Jackson. Semplicemente magnifici: in loro la distanza tra personaggio e persona si azzera, regalando vibranti emozioni. La Jackson è purtroppo scomparsa subito dopo le riprese, nel giugno del 2023.

La storia. Regno Unito 2014, Bernie è un veterano delle forze armate inglesi ormai novantenne. Vive con la moglie René in una residenza per anziani. Bernie e René sono legati da settant’anni e il loro amore è sempre vivo. L’uomo vorrebbe prendere parte al 70° anniversario del D-day in Normandia, ma la casa di cura non è riuscita a fare l’iscrizione per tempo. Deciso a non arrendersi, una mattina si prepara e si dirige al traghetto che lo porterà in Francia. La notizia della sua “fuga” per onorare i commilitoni caduti fa il giro dei giornali. È l’inizio per Bernie, ma anche per René, di un viaggio tra pagine di memoria e di sentimento, riavvolgendo il nastro dei ricordi tra trincee e primi battiti del loro amore…

È un piccolo gioiello il film di Parker che da un lato custodisce la memoria della Seconda guerra mondiale, il ricordo dello sbarco in Normandia nel 1944, dall’altro mette in racconto una dolcissima storia d’amore tra due novantenni, una coppia legata da 70 anni. E se convince la riflessione di impegno civile, con il racconto delle vite di tanti, troppi, giovani spazzati via dalla guerra, a spiazzare lietamente è la fotografia tenera e malinconica di due anziani sul crinale della vita. Bernie e René si apprestano a danzare l’ultimo valzer insieme, prima che il sipario cali; e si danno forza reciprocamente, riavvolgendo il nastro dei ricordi e dei sentimenti. Un tempo intessuto di tenerezze e confidenze, mai adombrato dalla paura della morte o del dolore, forse solo dal timore del distacco. Pagine dense di grazia e sentimento, che non lasciano indifferenti. Un film intessuto di valore civile e dolcezza, un’elegia della vita nell’ultimo battito d’ali, affrontata con coraggio e fiducia, consapevoli di aver vissuto in pienezza. Con gratitudine. Consigliabile, poetico, per dibattiti.

“The Bikeriders” (Cinema, 19.06)
Il suo film precedente, “Loving” (2016), ha convinto critica e pubblico per il modo in cui ha saputo raccontare un amore che ha frantumato steccati sociali e pregiudizi: il matrimonio interraziale nella Virginia ancora segnata da fratture d’odio tra Richard e Mildred Loving, interpretati da Joel Edgerton e Ruth Negga. A distanza di 8 anni Jeff Nichols ritorna dietro la macchina da presa per raccontare un’altra pagina di storia americana, meno poetica e più ruvida, un film “on the road” fatto di passioni, motori e violenze. È “The Bikeriders”, film che ci riporta negli Stati Uniti degli anni ’60, nel Midwest, solcato in lungo e in largo da bande di motociclisti rivali; un mondo fatto di machismo, cameratismo e ribellioni, amplificato dal rombo del motore delle mitiche Harley-Davidson. Protagonisti Austin Butler, Jodie Comer, Tom Hardy e Michael Shannon.

La storia. Chicago anni ’60, Kathy (J. Comer) per fare un favore a un’amica si avventura in un bar dove incontra il motociclista Benny (A. Butler), perdendo subito la testa per lui. In breve tempo i due si sposano. Benny fa parte del clan dei Vandals guidato dallo scontroso Johnny (T. Hardy). La donna ben preso scoprirà a sue spese che i Vandals vengono prima di tutto, anche del suo matrimonio: tra i motociclisti c’è un legame che supera quello familiare, si appartengono e sostengono. Fare un passo indietro è impossibile…

(L to R) Jodie Comer as Kathy and Austin Butler as Benny in director Jeff Nichols’ THE BIKERIDERS, a Focus Features release. Credit: Kyle Kaplan/Focus Features. © 2024 Focus Features. All Rights Reserved.

“Quello che trovo interessante ed è quanto cerco di esprimere in ‘The Bikeriders’ – indica Nichols – coincide con la convinzione che la nostra ricerca per un’identità unica ci porti spesso a confluire in un gruppo. Risiede nella natura umana la necessità di voler appartenere (…). Più è specifico il gruppo, più chiara è l’identità che assumiamo. In alcuni momenti può essere una dinamica meravigliosa per le nostre vite. In altri rischia di essere terribilmente distruttivo. ‘The Bikeriders’ racconta entrambi i momenti”.

L’autore usa i riferimenti di una storia vera, accaduta e documentata del fotoreporter Danny Lyon nel 1968, per comporre una metafora sul vivere sociale di ieri e oggi, del bisogno di ritrovarsi tra pari, tra aggregazioni para-familiari, in cerca di senso e orientamento nella vita. Uno sguardo che attinge chiaramente molto al contesto socioculturale “a stelle e strisce”. Il racconto viaggia spedito, tra dosi massicce di machismo e adrenalina, combinate a lampi ricorrenti di violenza e ironia grottesca. Sullo sfondo sembra agitarsi lo spettro, l’omaggio del regista, al cult “Easy Rider” (1969) di Dennis Hopper, uno dei titoli “breccia” per la Nuova Hollywood, nel racconto puntellato da vita da strada, desiderio di libertà e dispersioni. E se gli interpreti ben sorreggono lo sguardo di Nichols con performance vigorose, a latitare sembra un po’ dinamica e senso di un racconto che non trova grande mordente. Viaggia spedito, vorticoso, ma a tratti poco ancorato da sostanza. Complesso, problematico, per dibattiti.

“Bridgerton. Stagione 3” (Netflix, 13.06)
Ne abbiamo parlato lo scorso maggio, con il lancio della prima parte della terza stagione di “Bridgerton”, popolare period drama targato Netflix e Shondaland ambientato nell’Inghilterra “Regency” con richiami alle narrazioni di Jane Austen ma addizionate in chiave pop e con una linea romance erotizzante.

La storia. Londra, quartiere Mayfair. Penelope Featherington (Nicola Coughlan) e Colin Bridgerton (Luke Newton) sono prossimi all’altare, passati felicemente dall’amicizia di lunga data all’amore. L’intensità del loro legame cresce, i preparativi del matrimonio fervono, ma le insidie della società dei pettegolezzi rischia di minare il tutto. In particolare, Penelope è sotto ricatto per la sua attività segreta come Lady Whistledown…

Bridgerton. Nicola Coughlan as Penelope Featherington in episode 306 of Bridgerton. Cr. Liam Daniel/Netflix © 2024

La terza stagione di “Bridgerton” risulta per la linea di racconto più compatta e accattivante delle precedenti, segno che la macchina narrativa migliora stagione dopo stagione. Il mix tra dimensione estetica – costumi, scenografie, ambientazioni e musiche – si amalgama in un racconto che unisce drama, romance e pathos, con lampi brillanti. Certo, in alcuni passaggi qualcosa sembra sfuggire di mano in chiave gratuita e banalmente provocatoria, ma al di là di queste scialbe dispersioni l’impianto narrativo marcia saldo nella logica dell’evasione brillante in chiave romance. “Bridgerton” affascina per le atmosfere ricercate, la coralità di un cast valido, ma soprattutto per le pagine di sentimento, che oscillano tra la raffinatezza di Jane Austen e la basicità di un Harmony. Serie consigliabile, problematica.

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