Presentata oggi al Centro di aggregazione e legalità di Castel Volturno, in provincia di Caserta, la ricerca “Made in Immigritaly. Terre, colture, culture”, primo report su lavoratrici e lavoratori immigrati nell’agroalimentare italiano. Il dossier, al suo interno, approfondisce nove casi studio, tra i quali il capitolo: “Campania (in)felix. La normalizzazione dello sfruttamento lavorativo e del disagio abitativo nella “Castel Volturno area”.
All’evento hanno portato un saluto istituzionale il segretario generale della Cisl Caserta Giovanni Letizia, il sindaco di Castel Volturno Luigi Petrella e il direttore del Centro Fernandes Antonio Casale.
Ad introdurre la mattinata Maria Perrillo, segretaria generale di Fai-Cisl Caserta, che ha ricordato che “i lavoratori immigrati impiegati in agricoltura nella provincia di Caserta sono 18mila, dei quali il 43% sono donne. Secondo alcune stime, solo 5mila di queste persone sono regolari, è su questo che bisogna ancora lavorare molto”.
Silvia Omenetto, assegnista di ricerca all’Università la Sapienza di Roma, ha curato il capitolo dedicato al territorio campano: “Castel Volturno è stata definita per molto tempo la ‘capitale’ del circuito stagionale del lavoro agricolo svolto da mani straniere sul territorio nazionale. La presenza straniera in questa area si è andata progressivamente stabilizzando. Secondo i più recenti dati Istat, il Comune si classifica al primo posto tra i comuni della provincia di Caserta per numero di stranieri residenti – 4.933 al 1° gennaio 2022 – che triplicano nei periodi di maggiore richiesta stagionale”. Ma “la stabilizzazione non ha tuttavia disattivato l’emergere di nuove territorialità, che si intersecano con condizioni di lavoro ancora inique, con alloggi inadeguati e con il caporalato, generando nuove o diverse forme di sfruttamento lavorativo degli immigrati stranieri”.
Alla presentazione è intervenuto anche il vescovo di Caserta e arcivescovo di Capua, mons. Pietro Lagnese, che ha proposto “la nascita, a Castel Volturno, di un dipartimento universitario di studi sulla mobilità umana, sugli ‘sfollati ambientali’, persone che emigrano a causa della siccità, della carenza idrica, i cosiddetti “migranti climatici. Gli immigrati non sono un problema, ma una realtà che coinvolge in pieno il nostro territorio. Se domani mattina andassero via, tutti assieme, assisteremo ad un collasso dell’economia del Paese e soprattutto nella filiera agroalimentare nazionale, retta soprattutto dal lavoro immigrato”.
I lavori sono stati conclusi dal segretario generale di Fai-Cisl nazionale Onofrio Rota: “Il dossier vuole dare protagonismo ai lavoratori immigrati, alle buone politiche di integrazione, al contributo importante che può dare la contrattazione e l’agire sindacale. Sappiamo che sono almeno diecimila i lavoratori agricoli migranti che vivono in 150 ghetti presenti in 38 comuni e collocati in 11 regioni d’Italia, tra cui la Campania. Le politiche abitative sono uno dei motivi di grande fragilità di queste persone, a questa Regione sono stati destinati oltre 3 milioni nel Pnrr per gli alloggi a lavoratori migranti e i tre Comuni più interessati sono Castel Volturno, San Felice a Cancello e Eboli. Ecco queste risorse vanno utilizzate al meglio”.
Commissionato dalla Fai-Cisl, il rapporto “Made in Immigritaly” è stato realizzato dal Centro studi Confronti ed è curato da Maurizio Ambrosini, Rando Devole, Paolo Naso, Claudio Paravati.