Eco-ansia. Colpisce anche i bambini, ma è forte la voglia di impegnarsi per il pianeta

Presentata oggi all’Università di Pavia la prima – ad oggi unica - indagine sull’eco-ansia dei bambini. Il 95% si dice preoccupato per il futuro del pianeta ma, al tempo stesso, convinto di poter fare la differenza con le proprie azioni. E il coinvolgimento attivo nella tutela dell'ambiente e nel contrasto al cambiamento climatico si rivela anche fattore protettivo della salute mentale

Foto Coldiretti/SIR

Ansia, tristezza, rabbia. Sono le emozioni espresse dai bambini, preoccupati per il futuro del pianeta. È quanto emerge da uno studio italiano, primo e unico nel panorama scientifico internazionale, condotto su circa mille alunni di scuola primaria e presentato oggi, 11 giugno, presso l’Università degli studi di Pavia. Secondo la survey, intitolata “L’impatto psicologico del cambiamento climatico: una sfida per le nuove generazioni”,

il 95% dei bambini si dichiara preoccupato per l’ambiente.

Foto ScuolAttiva/SIR

Più di uno su 3 (il 40%) riferisce di aver fatto un brutto sogno sul cambiamento climatico e sul riscaldamento globale, e/o di aver fatto fatica a dormire o a mangiare a causa di questo pensiero. L’indagine è nata nell’ambito del progetto educativo di ScuolAttiva onlus “A scuola di acqua – sete di futuro”, sostenuto da nove anni dal Gruppo Sanpellegrino e dedicato alla sensibilizzazione dei più giovani sull’importanza dell’acqua e della sostenibilità ambientale. Condotta con la supervisione scientifica del Laboratorio di psicologia della salute del Dipartimento di scienze del sistema nervoso e del comportamento dell’Università di Pavia, e in collaborazione con Triplepact Società Benefit, la ricerca ha previsto la somministrazione di una survey realizzata con metodologia Cawi (Computer Assisted Web Interview), e ha coinvolto un campione di circa mille bambini tra i 5 e gli 11 anni di diverse regioni italiane, comprese Toscana ed Emila Romagna, colpite l’anno scorso da una violenta alluvione.

Un dato sorprendente. Nessuna differenza nelle risposte degli intervistati tra chi ha vissuto in prima persona un evento estremo, e chi no. Così come

il 95.6% di tutto il campione si percepisce direttamente responsabile della situazione, e il 97.2% pensa che il proprio contributo possa fare la differenza per la salute del pianeta.

Foto Pasqualin/SIR

Fondamentale anche l’impegno attivo degli adulti, nei quali è riposta la fiducia del 72% dei più piccoli. Abbiano commentato l’indagine con Serena Barello, direttrice del Laboratorio di psicologia della salute dell’Università di Pavia e coordinatore scientifico dello studio, e con Simona Frassone, presidente di ScuolAttiva onlus.

Professoressa Barello, come nasce l’idea di un’indagine sui bambini, un inedito assoluto?
Due le motivazioni. Nella letteratura scientifica sono presenti survey in materia, ma solo sulla popolazione adulta; abbiamo pertanto voluto colmare un vuoto. Poi c’è una ragione molto pragmatica: riuscire a cogliere le determinanti psicologiche e ambientali che portano i bambini ad avere una reazione di preoccupazione rispetto al climate change ci aiuta a capire di che cosa hanno realmente bisogno, nello specifico, per essere aiutati a diventare parte attiva nel cambiamento. Ci consente di essere più personalizzati ed efficaci nei nostri interventi su di loro.

Simona Frassone – Foto ScuolAttiva/SIR

Dottoressa Frassone, vi aspettavate da parte dei bambini una risposta omogenea su tutti i territori?
Abbiamo fatto una mappatura somministrando le survey in aree esposte negli ultimi anni ad eventi ambientali estremi, ad esempio Toscana ed Emilia-Romagna, confrontandole con aree non esposte. Incrociando i cluster ci aspettavamo evidenze scientifiche diverse, ma così non è stato. Identica la risposta dei bambini, a prescindere se fossero stati direttamente esposti all’evento catastrofico oppure no. Questo significa che l’eco-ansia in loro non è necessariamente correlata a esperienze realmente vissute; è piuttosto la comunicazione/informazione sul riscaldamento globale che arriva ad influenzarne la percezione; insomma

la narrazione prevale sul vissuto personale.

Professoressa Barello, la consapevolezza degli impatti dell’informazione sui bambini dovrebbe chiamare noi operatori della comunicazione a maggiore responsabilità…
La letteratura scientifica internazionale parla di “effetti vicari” del cambiamento climatico sulla salute mentale. Avere un dato a sostegno dell’impatto del nostro lavoro quotidiano sulla vita delle persone è un’ulteriore spinta a fare bene il nostro mestiere: voi come media, noi come scuola e università, quindi come agenzie educative. Tutto ciò che raccontiamo ha delle conseguenze: il discorso sociale che si costruisce intorno alle narrazioni fatte dalle fonti di informazione è ciò che modella il comportamento quotidiano delle persone (adulte e non) e ne influenza la visione del mondo e del futuro.

Media e agenzie educative giocano un ruolo fondamentale nella “costruzione” della realtà intorno a noi.

L’eco-ansia può sfociare in un disturbo mentale?

Non è, in sé, una patologia psichiatrica ma può costituire un fattore di rischio,

sostiene l’American Psychological Association, invitando a trattare questo fenomeno non con sguardo clinico, ma considerandolo un potenziale fattore di stress, come molti altri ai quali siamo esposti nella nostra quotidianità.

Quali strumenti di prevenzione?
Un’informazione il più possibile corretta e trasparente, senza inutili allarmismi, che spieghi anche ciò che è possibile fare per contrastare il riscaldamento globale. È importante promuovere l’engagement delle nuove generazioni nella tutela dell’ambiente e nel contrasto al climate change attraverso iniziative di formazione e sensibilizzazione. Quanto più avvertiamo di poter fare qualcosa di concreto, che le nostre azioni – anche piccoli gesti quotidiani – hanno valore ed efficacia, tanto più non rimaniamo schiacciati da un mondo che per definizione è più grande di noi e non ci consente di controllare tutto. Sentirsi agenti di cambiamento, e non vittime dei fenomeni che ci circondano, costituisce un fattore protettivo nei confronti dell’eco-ansia e migliora il nostro benessere mentale e la nostra salute in generale.

Foto ScuolAttiva/SIR

Dottoressa Frassone, che cos’è il progetto “A scuola d’acqua”, e come si declina il vostro impegno formativo?
Da vent’anni sosteniamo campagne educative gratuite nella scuola italiana, convinti che la formazione delle nuove generazioni sia la strada giusta da percorrere. I giovani considerano l’ambiente una sfida personale di primaria importanza. Giunto alla nona edizione e rivolto agli alunni delle scuole primarie, il progetto A scuola d’acqua – sete di futuro è nato con un focus sull’acqua come elemento legato al benessere fisico, per poi cambiare pelle negli anni e affrontare il tema dell’acqua in quanto risorsa naturale da usare in modo corretto e responsabile. L’anno scorso abbiamo lavorato con il World Food Program sugli impatti del cambiamento climatico sull’alimentazione, in particolare fame e carestie, con riferimento all’obiettivo “Fame zero” (fissato dall’Agenda Onu 2030, ndr). Dal nostro sito è possibile scaricare materiali multimediali e schede didattiche per attività, piccoli esperimenti e giochi, oltre a guide per insegnanti e famiglie. Ora stiamo insegnando ai più piccoli l’importanza di riciclare le bottiglie di plastica che contengono l’acqua perché l’acqua può stare nella plastica, ma la plastica non può stare nell’acqua.

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