Inclusione: ActionAid Napoli, calcio solidale e laboratori digitali contro odio e discriminazione

(Foto ActionAid)

Come si costruisce una alternativa a esclusione e marginalità? La risposta la danno Saša, Carlo, Mattia, Hafiza, Christian, Luigi, Fatima, Praeedip, Claudia, Mario… Alcuni dei ragazzi e delle ragazze che muovendosi da Fuorigrotta, Bagnoli, Pozzuoli, dal Centro storico e dal Rione Sanità raggiungono il Metro Park Stadium di Bagnoli, un campo da calcio autocostruito dai giovani del quartiere. Al Metropark, il sabato mattina, si gioca a Football3, una metodologia che prevede tre tempi e che promuove un modo diverso di fare sport, gestendo rabbia e conflitti, scoprendo cosa significa fair play, lotta alla discriminazione e rispetto di ogni diversità. È la ricetta che da oltre 3 anni ActionAid porta avanti a Napoli con Dialect, progetto europeo sviluppato in Italia, Grecia, Ungheria e Serbia e che coinvolge 450 tra ragazze e ragazzi dai 10 ai 25 anni.
Sono sessanta tra maschi e femmine, i ragazzi nati a Napoli e in altre parti del mondo che hanno partecipato attivamente. Storie ed esperienze molti differenti tra loro. Sono napoletani, provenienti da diversi contesti sociali e familiari, con background migratori eterogenei ed età differenti. Si sono ritrovati grazie alla rete costruita da ActionAid con associazioni educative territoriali e gruppi informali in giro per la città, oltre che con l’Asd Sant’Anastasia-Peluso Academy, scuola calcio con un bacino d’utenza assai consistente nella zona vesuviana.
A coordinare il torneo quattro giovani mediatori: Mattia, Bruno, Hafiza e Fatima, poco più che maggiorenni, i ragazzi italiani e le ragazze afgane. Sono loro ad accompagnare giocatori e giocatrici nella scelta delle regole del gioco, e a supportarli nel processo di riflessione sulla gara, che comprende anche l’assegnazione di punti fair play, in base ai comportamenti di ogni calciatore, al rispetto delle regole, al contributo dato al mantenimento di un’atmosfera di gioco serena, mai troppo competitiva. È qui che i mediatori hanno un ruolo fondamentale per spiegare, dare sostegno, analizzare e, se ancora necessario, ricomporre i conflitti tra i partecipanti che hanno imparato a riconoscere queste figure “ibride”, a metà tra le loro giovani adolescenze e l’età adulta.
Con un gruppo più ristretto di ragazze e ragazzi più grandi è stato costruito un laboratorio per la comprensione sull’utilizzo degli strumenti e dei media digitali, ancora una volta per combattere i discorsi d’odio, far crescere la consapevolezza delle potenzialità e dei rischi dei social media nel riprodurre atteggiamenti e linguaggi stereotipati, sessismo, esclusione. Una alfabetizzazione digitale che ha portato a creare dei video i cui protagonisti sono gli stessi giovani del progetto.
“Portare gli strumenti digitali sul campo è stato molto utile perché i ragazzi si sentivano osservati, comprendevano di poter essere al centro dell’attenzione anche nei loro comportamenti positivi, e non solo in quelli negativi come avviene di solito. È stato molto efficace, ci è sembrato che quei comportamenti positivi poi venissero assorbiti anche in assenza delle telecamere”, spiega Hafiza Mahdiyar, mediatrice di Dialect2.
“Unire la pratica dello sport inclusivo e le capacità di comprensione dei media digitali e delle loro dinamiche per sfuggire a luoghi comuni e pregiudizi, è la ricetta scelta da ActionAid per proporre una nuova interazione tra pari, nuove forme di socialità tra minori e giovani adulti a cui tali opportunità non erano state date finora e che possono avere delle reali alternative a quanto si trovano a vivere, anche di molto difficile, nella loro vita”, racconta Daniela Capalbo, responsabile di ActionAid a Napoli.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Territori