Nella riflessione riservata ai cento anni trascorsi dal Concilium Sinense, il cardinale, Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, nel suo discorso, in occasione del convegno internazionale dedicato all’anniversario all’Università Urbaniana, si sofferma sulla figura del delegato apostolico di allora, Celso Costantini. “Ebbe – commenta Parolin – parole molto lucide a riguardo della necessità di radicare il cattolicesimo nel contesto locale, come ben descrisse utilizzando un’immagine semplice ma eloquente: secondo lui, fino ad allora, l’opera di evangelizzazione in Cina dava l’impressione di aver ‘trapiantato’ un albero già sviluppato e ricco di fronde che, però, non aveva mai avuto la possibilità di penetrare con le proprie radici nelle profondità del suolo; ora si scorgeva, invece, la necessità di spargere dei semi che, pur impiegando tempo a crescere, avrebbero potuto radicarsi con vigore nel terreno, immagine del popolo cinese. Allo stesso modo fu chiara per lui l’urgenza di avanzare nell’opera di indigenizzazione del clero: “Checché si dica, il missionario estero è un ospite. […] E la Chiesa deve essere naturalizzata: non può essere in perpetuo costituita da ospiti”. “Fu – aggiunge – con questo intento in mente che egli favorì l’ordinazione dei primi sei vescovi cinesi, nel 1926, e con questo medesimo scopo fondò, l’anno successivo, la Congregazione dei discepoli del Signore”.