“La preghiera e il sostegno del Santo Padre, la sua vicinanza e la sua parola di pace sono sempre importanti per la popolazione sofferente del Myanmar. Non mi sento solo, innanzitutto perché Dio è sempre con noi; perché persone di tutto il mondo pregano per noi e Dio è presente con noi attraverso la Chiesa”. L’appello di pace anche per il Myanmar lanciato mercoledì scorso da papa Francesco all’udienza generale è arrivato anche qui, nella regione di Loikaw, dove vive da “sfollato” il vescovo mons. Celso Ba Shwe. A novembre, l’esercito della giunta militare ha sparato più volte sul Centro pastorale della città dove il vescovo viveva e per motivi di sicurezza, il vescovo è dovuto fuggire insieme a molti sacerdoti e religiosi e trovare rifugio in una remota parrocchia di Demoso, una zona piena di persone sfollate. Contattato dal Sir, il vescovo scrive: “La situazione nella nostra Diocesi non migliora, anzi sembra peggiorare. Nelle ultime due settimane, tutti gli sfollati nel nord di Loikaw sono stati costretti a spostarsi nuovamente mentre le forze militari si avvicinavano ai loro campi. La città di Loikaw e tutto il distretto di Phasaung sonos vuotati di civili: sono in corso scontri tra l’esercito e le forze della resistenza e le persone non possono tornare nelle loro case. Tutte le strade principali collegate ad altri Stati e città sono bloccate o distrutte, il flusso di merci e materie di prima necessità è interrotto. Il prezzo del cibo si è alzato molto. L’accesso al sostegno umanitario, all’assistenza sanitaria e all’istruzione: tutto diventa sempre più difficile. Il sostegno e l’assistenza internazionale devono passare attraverso la giunta governativa e non raggiungono mai le popolazioni colpite dal conflitto”.
Il messaggio del vescovo giunto per mail al Sir è corredato di foto. Le immagini ritraggono la piccola comunità cattolica rifugiata nella giungla in preghiera; religiose e religiosi impegnati in attività ricreative e scolastiche con i bimbi. “Nessuno e in nessun luogo è al sicuro. Ma ogni giorno cerchiamo di sopravvivere”, racconta mons. Shwe. “I bambini e il loro futuro sono la nostra principale preoccupazione. Quindi tutto il piano e i programmi diocesani. L’assistenza umanitaria, la protezione, l’educazione, la formazione alla fede, le attività sociali e pastorali, tutto si concentra sui bambini”.
La situazione politica e sociale in Myanmar è precipitata dopo il colpo di Stato da parte della giunta militare nel 2021. Da allora, il Paese è piombato in uno stato privo di democrazia e libertà. I diritti del popolo – dice il vescovo – “non solo sono stati negati, ma sono stati anche brutalmente repressi dai militari”. Tutti gli stati etnici e alcune parti delle divisioni a maggioranza Bamar (in particolare le divisioni Sagaing e Magwe) in Myanmar hanno preso le armi per proteggersi e combattere per i propri diritti. “La rivoluzione armata non è mai una soluzione per la pace – scrive il vescovo -, ma sembra che in questo paese sia inevitabile sradicare la dittatura militare”. Il Papa continua a lanciare appelli di pace e a ricordare a livello internazionale il Myanmar. “Sembra che i leader mondiali ignorino quanto sta accadendo nel nostro Paese”, dive mons. Shwe. “La pace sarà possibile solo quando la Giustizia e i fondamentali diritti umani saranno rispettati; solo quando la dignità umana sarà rettamente interpretata secondo l’insegnamento della Chiesa; solo quando la vera riconciliazione si realizzerà attraverso la comprensione reciproca, l’amore e la misericordia”.