Opere carismatiche e sostenibilità: binomio possibile? Sì, secondo Giorgio Mion, Dipartimento di Management, Università di Verona. Intervenendo questa sera al XXV convegno nazionale di pastorale della salute della Cei “Non ho nessuno che mi immerga, Universalità e diritto di accesso alle cure”, in corso fino al 15 maggio a Verona, Mion premette: “Se un’organizzazione segue le vie normali, se non sa osare in nome dello spirito che la guida, non è un’opera carismatica”.
La questione è, allora, “assicurare la permanenza nel tempo delle organizzazioni, tenendo fede alla ‘vocazione’ che è stata loro impressa”. Se la sostenibilità “sostiene” le opere, “è il carisma a dare loro il senso. Senza senso, la sostenibilità si riduce ad uno sterile sforzo” che “nel breve termine può sfruttare qualche rendita di posizione o qualche vantaggio contingente, ma, nel lungo termine, determina la crisi”, afferma l’esperto. Il punto fondamentale da cui partire è dunque il “perché” delle opere, che “definisce anche gli obiettivi operativi: qual è il bisogno di fondo? Si tratta di una ‘frontiera’ del bisogno rispetto alla quale si può dire qualcosa di significativamente diverso da quanto offerto dal mercato? Nel rispondere a questo bisogno sto rispondendo a quella vocazione all’edificazione della casa comune – quindi, a quel carisma – che nomina l’organizzazione?”. Da questa premessa derivano “le priorità di sostenibilità: la coerenza valoriale ed il valore testimoniale; la capacità di intercettare e rispondere a bisogni di frontiera; l’eccellenza gestionale basata su persone (formate e motivate) e processi (inclusivi e motivanti)”. Parola d’ordine “farsi carico, prendersi cura, superare le convenzioni”. “Come per gli amici che scoperchiano la casa per calare il paralitico – conclude Mion -, alle organizzazioni carismatiche viene chiesta oggi un’azione creativa, illuminata nella ragione e radicata nel carisma”.