Appelli per una pace duratura nel Caucaso meridionale, con un riferimento particolare alla “grave” situazione umanitaria degli sfollati dall’ex Nagorno Karabakh e alla protezione dei Monasteri e dei luoghi di culto della regione. A lanciarli in maniera costante e periodica è Papa Francesco. Il Sir ha chiesto all’ambasciatore Elchin Amirbayov, rappresentante presidenziale con incarichi speciali e primo ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede (2005 – 2017), in visita in questi giorni in Vaticano, di rispondere alle parole del Papa.
Il Papa chiede che i colloqui possano favorire “un accordo duraturo” che possa soprattutto porre fine alla crisi umanitaria. A che punto è il dialogo tra l’Azerbaigian e l’Armenia? Quali passi necessari da compiere?
In primo luogo, apprezziamo molto l’attenzione prestata da Sua Santità Papa Francesco al raggiungimento della pace tra Armenia e Azerbaigian. Il dialogo tra Baku e Yerevan prosegue sotto varie forme e in uno spirito positivo. Bisogna ricordare che è stato l’Azerbaigian ad avviare quasi due anni fa i negoziati di pace e il progetto di accordo di pace, e da allora sono stati compiuti progressi importanti. Gli ultimi sviluppi positivi sono stati possibili dopo che lo scorso settembre, l’Azerbaigian ha ripristinato pienamente la sua sovranità e integrità riconquistando il controllo effettivo sulla sua regione del Garabagh. Siamo fiduciosi oggi di poter raggiungere, insieme all’Armenia, tutti i nostri obiettivi rimanenti attraverso mezzi politici e in un periodo di tempo relativamente breve. Due settimane fa, l’Armenia ha accettato di ritirare le sue forze dai restanti quattro villaggi azerbaigiani occupati nella regione nord-occidentale di Gazakh e subito dopo abbiamo avviato il processo bilaterale di delimitazione e demarcazione di quello che diventerà il confine di Stato tra i nostri due paesi. Parallelamente, l’Azerbaigian continua con determinazione i suoi sforzi su larga scala per la ricostruzione e la riabilitazione di tutti i suoi territori che sono stati devastati da un conflitto e da un’occupazione illegali durati tre decenni.
Nell’Angelus del 15 ottobre 2023, il Papa esprimeva l’auspicio che Autorità e abitanti di quella Regione potessero “essere rispettati e tutelati come parte della cultura locale, espressioni di fede e segno di una fraternità che rende capaci di vivere insieme nelle differenze”. Come favorire, a questo punto, questo processo di rientro nelle proprie case?
Vorrei iniziare chiarendo che la decisione di lasciare il territorio della regione del Garabagh dell’Azerbaigian verso l’Armenia è stata una decisione che hanno preso da soli tutti coloro che se ne sono andati, nonostante i numerosi appelli delle autorità azerbaigiane a restare. Nonostante la campagna di disinformazione lanciata dall’Armenia contro di noi subito dopo l’operazione antiterrorismo durata un giorno, l’Azerbaigian aveva suggerito alla popolazione civile locale di non andarsene e piuttosto di integrarsi pacificamente nella nostra società. Molti di coloro che se ne sono andati, sono stati in realtà “fortemente incoraggiati” a farlo dai leader dei separatisti illegali locali, che si opponevano alla coesistenza pacifica di armeni e azerbaigiani in quella regione dell’Azerbaigian. Come hanno più volte affermato in precedenti occasioni le autorità azerbaigiane, il diritto di tutte le popolazioni sfollate al ritorno volontario alle proprie case, indipendentemente dal fatto che siano di origine armena o azerbaigiana, dovrebbe essere rispettato su base di reciprocità. Non dimentichiamo che più di 250 mila civili azerbaigiani sono stati sottoposti a pulizia etnica in Armenia proprio all’inizio del conflitto alla fine degli anni ’80.
Nello stesso Angelus, il Papa rivolgeva anche “un particolare appello in favore della protezione dei Monasteri e dei luoghi di culto della regione”. Cosa sta facendo il suo governo per la protezione dei luoghi di culto cristiani in quella terra?
Tutti i luoghi di culto nel territorio dell’Azerbaigian, indipendentemente dalla loro origine religiosa, costituiscono parte del nostro ricco patrimonio culturale e religioso che riflette la natura multietnica e multiculturale della nostra società. E il nostro governo prende sul serio il dovere di proteggere ogni singolo sito religioso senza alcuna discriminazione. Dalla fine della seconda guerra del Garabagh nel novembre 2020, le autorità competenti dell’Azerbaigian hanno effettuato l’inventario di tutti i monumenti culturali e religiosi nei territori che erano sotto occupazione straniera illegale e sono stati colpiti dal conflitto. Quelli che sono sopravvissuti a due guerre e sono stati danneggiati, sono ora in fase di ricostruzione, ma purtroppo molti dei monumenti culturali e religiosi sono stati completamente distrutti dalle forze di occupazione. 65 delle 67 moschee del Garabagh e di altri territori precedentemente occupati sono state rase al suolo.
Papa Francesco, in un mondo fortemente attraversato da conflitti e crisi, è forse l’unico che tiene ancora viva l’attenzione su questa crisi. Cosa pensa della “parola” del Papa e soprattutto quale “ruolo” possono svolgere i cristiani in quelle terre? C’è spazio per loro?
Come accennato in precedenza, noi in Azerbaigian apprezziamo molto l’attenzione dedicata da Papa Francesco ma anche da molti altri dignitari di alto livello in tutto il mondo alla questione della pace e della normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian. L’Azerbaigian è un paese laico orgoglioso della sua diversità culturale e religiosa, dove da secoli musulmani, cristiani, ebrei e rappresentanti di altre fedi vivono in armonia e amicizia gli uni accanto agli altri. Crediamo fermamente che il trattato di pace che, si spera, possa essere concluso presto tra i nostri paesi, non solo porrà formalmente fine a uno dei conflitti etnici più lunghi e tragici del mondo, ma possa anche aiutare a costruire la fiducia tra armeni e azerbaigiani e consentire loro di vivere insieme come buoni vicini e, un giorno, si spera, come amici.