Un incontro sereno, all’insegna della familiarità e scandito da molti applausi e qualche lacrima. Don Antonio Biancotto, cappellano della Casa di reclusione femminile della Giudecca, a Venezia, definisce in questi termini la visita del Papa, ieri mattina, alle detenute del carcere. Un appuntamento, racconta a caldo al Sir, “atteso con trepidazione, preparato con cura, e che ha portato consolazione e speranza”.
Occhi lucidi, emozione e commozione palpabili tra le recluse che fin dall’inizio si sono sentite accolte dal Pontefice. “Quando ci si avvicina a chi ha il cuore ferito – spiega don Antonio -, occorre togliersi i sandali come Mosè davanti al roveto ardente. Così anche in carcere: questo è un luogo sacro perché qui sei di fronte al santuario di una persona e della sua coscienza.
Anche chi cade è degno di rispetto e merita di non essere inchiodato al reato commesso”.
Per questo, le parole di Francesco “avete un posto speciale nel mio cuore” sono state “come un abbraccio per le detenute che hanno ascoltato con attenzione il suo discorso, in particolare quando ha affermato che tutti abbiamo delle ferite da curare, e una volta guariti dobbiamo diventare capaci di guarire le ferite degli altri. E poi ha molto colpito l’esclamazione a braccio:
“Nessuno toglie la dignità di una persona, nessuno!”.
Rispetto al programma dell’incontro, il Papa ha modificato la scaletta, racconta ancora don Antonio: “Ha voluto iniziare dai saluti a tutti i presenti, detenute e personale del carcere, inizialmente previsti alla fine, e ci ha salutati tutti ad uno ad uno ricevendo dalle recluse dei bigliettini di saluto o di preghiera che avevano preparato. Poi ha tenuto il suo discorso e alla fine le detenute gli hanno offerto dei doni, alcuni prodotti da loro realizzati nei laboratori del carcere”. Un cestino realizzato dalla cooperativa “Il granello di senape”, decorato con roselline colorate lavorate all’uncinetto; uno zucchetto bianco confezionato dal laboratorio di sartoria della cooperativa “Il Cerchio” che il Papa ha subito indossato al posto del suo; alcuni prodotti dell’orto e poi saponi e bagnoschiuma offerti dalla cooperativa “Rio terà dei pensieri” che rifornisce anche gli alberghi della città. Francesco, da parte sua, ha offerto in dono “un quadro con l’immagine della Madonna col bambino, una bella icona d’argento in stile bizantino, che – dice don Antonio – speriamo di collocare nella cappellina, dicendo loro: ‘ è la tenerezza della mamma’”. Tre detenute hanno letto una breve riflessione con un ringraziamento per la sua visita.
Che sentimenti ha colto nelle recluse e quali saranno i frutti da questa viaita? ”Ho avvertito profonda emozione, molti occhi lucidi, qualcuna ha anche pianto per la commozione – racconta ancora il cappellano -. È stato un momento davvero toccante nel quale hanno prevalso la serenità e la dimensione ‘familiare’ sull’organizzazione e le preoccupazioni che accompagnano ogni evento così straordinario. Nel suo discorso il Papa ha accennato anche al sovraffollamento e alla durezza della detenzione, e ho sentito alcune dichiarazioni rilasciate dopo l’intervento del Papa alla stampa dal ministro della Giustizia, nelle quali Nordio esprime la volontà di pensare a una soluzione per il sovraffollamento che qui al femminile non è un grosso problema, ma nel carcere maschile – la casa circondariale di Santa Maria Maggiore, 159 posti con attualmente 240 detenuti, di cui don Antonio è cappellano – è veramente un’emergenza”. E tornando con il pensiero alla Giudecca conclude: “Queste donne soffrono molto, in particolare quelle che sono madri, e non tanto per il peso della detenzione in sé, che è già un macigno, ma perché si fanno carico del dolore dei figli, spesso in tenera età, costretti a crescere lontani dalle mamme.
E’ importante che non si sentano sole, ignorate, abbandonate dalla comunità cristiana, dalla società civile e dallo Stato”.
La testimonianza di Dolores. Della sofferenza per il distacco dai figli si è fatta voce Dolores nella sua testimonianza consegnata al Papa. Eccola:
Ho sempre creduto in Dio, ma la sua vera presenza l’ho sentita nel momento in cui avevo un estremo bisogno. L’ho supplicato con tutta me stessa: non avevo più le forze di affrontare la situazione. Mi sentivo persa. L’unica mia possibilità era di supplicare il Signore. L’ho supplicato davanti ad una sala operatoria dove si trovava mia figlia in fin di vita, con pochissime speranze di vita. Io, in ginocchio davanti a quella porta, supplicavo Dio per due sole cose. Mi sono rivolta a Dio così: “Dio mio, ti prego, non farmi vedere quello che non voglio vedere”. La seconda cosa che gli ho chiesto nella mia disperazione era di darmi il coraggio di affrontare ciò che stava succedendo.
Da quel giorno Dio è con me e io vivo alla sua presenza.
Lui mi ha dato una energia incredibile. Con essa superavo ogni ostacolo senza il peso e il dolore che sentivo nella disperazione; da quel giorno sento che Dio è sempre con me. Quando i medici mi hanno chiamata, dopo tantissime ore di angoscia e paura, mentre stavano operando mia figlia, mi rivolgevo a lui dicendo: “Dio, solo tu la puoi salvare“. Mi hanno chiamato i medici e mi hanno detto che potevo vedere mia figlia. Io, dal momento in cui l’ho vista, anche se lei era in coma, e nonostante i medici mi dicessero che la situazione era grave, che le speranze erano poche, non li ascoltavo perché sentivo la presenza di Dio e una forza che non so descrivere. Quando ho visto mia figlia ero felice: anche se era in coma sapevo che si sarebbe salvata e ce l’avrebbe fatta. E così è stato. Mi sono rivolta a Dio e gli ho detto: “Grazie perché hai salvato la mia bambina“. Tutto questo è successo l’11 febbraio 2023 e l’11 settembre 2023 sono entrata qui in carcere. Erano passati davvero pochi mesi da tutto ciò.
Sto molto male perché sono lontana da mia figlia che, in questo momento, ha più bisogno di me.
Ma Dio è con me e mi dà la forza ogni giorno per andare avanti. Dio è grande!!!!